Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Ieri, andando su Google News verso le cinque del pomeriggio, si poteva leggere che Monti vuole aumentare l’età pensionabile, che il Tar non ha sospeso i Monti-bond con cui lo Stato intende salvare il Monte dei Paschi, Bersani al contrattacco, Zeman fatto fuori dalla Roma, flop della cedolare secca, sì francese alle nozze-gay, eccetera eccetera. Ogni titolo rinviava a un articolo che si trovava nel nostro sito oppure in quello del Corriere, di Repubblica, del Messaggero, e così via. Google, cioè, fa in questo caso il vigile urbano o il taxi: i clienti arrivano sulla sua piazza e, a seconda di quello che gli interessa, vengono smistati di qua o di là. Il vero lavoro lo fanno i giornali, mentre il motore di ricerca si limita a distribuire. Ma, per il fatto che distribuisce, attira clienti e, per il fatto che attira clienti, vende, su questa pagina delle News, molta pubblicità. Di questa pubblicità, agli editori dei giornali, che sono anche editori dei rispettivi siti, non arriva un centesimo. È chiaro che non va bene.
• Sta facendo questo discorso per via dei francesi, che sono riusciti a mettere all’angolo Google.
Mettere all’angolo per modo di dire. Dopo tre mesi di trattativa, Google s’è impegnata a versare 60 milioni a un fondo comune col quale lo stato francese aiuterà la stampa quotidiana a svilupparsi su Internet. È un bel risultato soprattutto perché si mette un paletto in un territorio totalmente abbandonato alle razzie del motore di ricerca. Per il resto, i problemi mi paiono ancora parecchi: 60 milioni sono veramente una cifra irrisoria (il nostro Stato dissestato versa, peraltro a torto, una somma doppia ai nostri giornali); il governo francese si propone di distinguere tra giornali seri e giornali meno seri, secondo criteri che non sono stati resi noti. I 60 milioni finanzierebbero solo i progetti dei giornali seri, qualunque cosa significhi questa parola. I soldi andranno solo agli editori di carta che pubblicano anche in internet. E tutti quelli che fanno informazione in rete senza avere un quotidiano? La sensazione è che si sia voluto concludere in fretta un accordo. Google, che non paga le tasse, per non essere chiamata alla sbarra ed essere costretta a riconoscere al fisco quel che sarebbe giusto. Hollande perché la sua popolarità è in calo, e un qualche risultato ci voleva. Ho comunque l’impressione che a Mountain View stiano brindando.
• Perché?
Per loro il vero problema è aggirare l’ira europea sulla faccenda delle tasse. Google – come Apple, Facebook e Amazon (per questi quattro in Francia hanno coniato l’acronimo GAFA), ma anche come General Electric, Microsoft, Emerson Electric, Illinois Tool Works, Hewlett Packard, Johnson & Johnson, Whirlpool – opera in Europa con una società piazzata in Irlanda e un’altra che sta in Olanda. Olandesi e irlandesi non tassano i profitti che le società producono all’estero, dunque su questo lato zero problemi. Per il resto: le Google che operano nei vari paesi sono considerate dei semplici broker, società che si limitano a raccogliere pubblicità e incassare una provvigione. Così l’Italia, la Francia, la Germania, la Spagna possono tassare solo i profitti di queste pretese provvigioni. Una miseria. Cifre ufficiali non ce ne sono, ma si parla di 600 miliardi di elusione. Google pagherebbe in pratica un’aliquota del 3,2% in un’area in cui le altre aziende devono sottostare ad aliquote del 26-34%.
• Di questo non si vergognano?
Il loro capo, Eric Schmidt, lo dice esplicitamente: «Sono orgoglioso del sistema di elusione delle tasse applicato da Google. A chi mi dice che si tratta di un sistema immorale rispondo che si chiama “capitalismo”. E noi siamo orgogliosamente capitalisti. Non ho dubbi di sorta su questo».
• Quindi l’accordo francese sarebbe, per loro, un tentativo di chiudere la faccenda con questi 60 milioni.
La scorsa estate un senatore che era stato consulente di Sarkozy, Philippe Marini, aveva presentato una proposta di tassazione per le società che operano con prodotti elettronici: in pratica la legge le avrebbe costrette a dichiarare i loro profitti e sarebbero state tassate di conseguenza. In Francia, relativamente a Google, si parla di fatturati da un miliardo e due (e mi pare poco: ma sono numeri che non conosce nessuno). Hollande deve aver pensato che un affare simile non potesse essere lasciato in mano all’opposizione e ha dato a quelli di Mountain View un aut aut relativo alla faccenda degli editori: pagarli oppure subire una legge.
• Gli editori hanno ragione, ma in fondo anche Google gli fa un servizio: in ogni caso mi spediscono sul sito del giornale.
È la loro risposta: «Vi indirizziamo ogni mese quattro miliardi di contatti». Ciononostante, hanno dovuto cedere perché l’Europa è per loro troppo importante (in Brasile, di fronte a richieste analoghe, hanno fatto i duri e tolto dalla piattaforma le testate di carta). Così, l’altro giorno, Hollande e Eric Schmidt hanno firmato. Qualcosa del genere dovrebbe succedere anche in Germania e anche da noi, col nuovo governo. La nostra Federazione degli Editori, per bocca del suo presidente Giulio Anselmi, ha accolto la notizia con un eloquente «Vive la France!».
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