Gianluca Paolucci, La Stampa 3/2/2013, 3 febbraio 2013
COSÌ L’AREA FINANZA SCUDÒ 40 MILIONI GLI INDAGATI SONO TRE
Quaranta milioni in totale, scudati da tre manager dell’area finanza di Mps, allargano l’inchiesta sulla «banda del 5 per cento». E fanno emergere una serie di sovrapposizioni tra i vari filoni d’indagine che se confermati dall’attività investigativa in corso potrebbero fare chiarezza su quanto avvenuto dentro Montepaschi e sugli eventuali illeciti commessi nel corso della passata gestione.
Sarebbero infatti almeno altri due, oltre a Gianluca Baldassarri, i banker dell’area finanza di Mps indagati a Siena. In entrambi i casi, spiegano fonti investigative, si tratta di manager che avrebbero usufruito dei benefici dello scudo fiscale per una somma complessiva di circa 20 milioni di euro. Che andrebbero ad aggiungersi ai quasi venti milioni scudati negli anni dalla stesso Baldassarri. Proprio dagli accertamenti condotti sullo scudo dai pm senesi - coadiuvati dal Nucleo valutario della Gdf di Roma -, che hanno portato all’evidenza di 40 milioni scudati da persone che lavoravano nello stesso ufficio, l’indagine su quella che è ormai diventata la «Banda del 5 per cento» hanno ripreso vigore. Con Baldassarri sarebbe indagato anche Matteo Pontone, ex responsabile del desk londinese di Montepaschi, che avrebbe anche lui fatto rientrare soldi in Italia grazie allo scudo del 2010.
Baldassarri e Pontone sono entrambi citati nell’informativa della Gdf allegata agli atti dell’inchiesta condotta a Milano dal pm Roberto Pellicano. Secondo quanto racconta Antonio Rizzo, ex banker di Dresdner, era notorio che Pontone e Baldassarri avevano percepito una «commissione indebita» per una operazione condotta nel 2007 tra Dresdner e Mps su 120 milioni di titoli emessi da un veicolo denominato Skylark. E’ lo stesso Rizzo, che sarà sentito nei prossimi giorni dai pm senesi, a raccontare agli uomini della Gdf di aver saputo da un suo collega, Matteo Cortese, durante una cena, che i due erano noti come la «Banda del 5 per cento» per la pratica «abituale» di fare la cresta sulle operazioni condotte dai rispettivi desk. Nei giorni scorsi, i legali di Baldassarri hanno inviato una lettera al Corriere della Sera per precisare che il loro assistito «attende serenamente lo svolgimento delle indagini in corso, all’esito delle quali verrà comprovata la correttezza del suo operato e l’estraneità rispetto a condotte illecite», ricordando che il procedimento milanese sulla Lutifin è stato archiviato nell’agosto del 2011.
Tra le sovrapposizioni emerse, il contatto tra la cedola che nel 2009 viene pagata agli azionisti di risparmio - appena un centesimo per azione - che faceva scattare il pagamento degli interessi sul Fresh. Operazione resa possibile grazie alla plusvalenza fittizia segnata in bilancio grazie all’operazione Alexandria, gestita proprio da Baldassarri.
E’ la «banca nella banca», la struttura finanza che faceva capo a Baldassarri. Che resta al suo posto dal 2001 al 2012, praticamente sempre nella stessa posizione. Nonostante i ripetuti allarmi e nonostante tra il 2007 e il 2012 si alternino ben tre direttori finanziari. L’area finanza peraltro, come emerge ricostruendo gli organigrammi, non rispondeva al direttore finanziario ma direttamente al direttore generale Antonio Vigni. Altra «anomalia» del sistema Siena. Baldassarri è stato messo alla porta nel 2012, con l’arrivo di Fabrizio Viola a Siena, con una buonuscita di 800 mila euro, pari a 20 mensilità contro le 22 che gli sarebbero spettate da contratto.