Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Il mondo ha fatto «oooooh» perché ieri, a un comizio fiorentino, Bersani e Renzi sono saliti insieme sul palco facendosi un mucchio di carinerie. E tuttavia la vera notizia di giornata non è questa, ma quella che ci racconta come Grillo abbia soffiato al Pd, per la chiusura della campagna elettorale, la piazza San Giovanni di Roma. Piazza San Giovanni a Roma è il luogo del primo maggio e delle adunate di massa di sinistra, persino nel film di Scola Dramma della gelosia si vede la piazza piena zeppa. È vero che una volta provò ad adoperarla anche Berlusconi, però con poco successo.
• Già, è il posto che permette ai giornali del giorno dopo di scrivere quelle cifre esagerate, «un milione, due milioni…». Anche Berlusconi, quella volta, mi pare che si provò a dire «un milione». A proposito, come mai l’unico che va in piazza è Grillo? Ha addirittura organizzato un tour in più di un’ottantina di città.
Guardi che andrà anche in televisione. Non è ufficiale, ma sembra certo che il giovedì 21 febbraio sarà da Santoro. In ogni caso, la sua domanda contiene in realtà due interrogativi: perché Grillo va in piazza? e perché gli altri invece no? Sul primo punto: Grillo ha vinto le elezioni regionali siciliane, dove è risultato il primo partito, grazie a una serie di manifestazioni di piazza precedute dalla spettacolare traversata a nuoto dello Stretto. Le piazze erano piene, e nel nuovo tour che ha fatto adesso in Sicilia, le piazze sono risultate ancora più piene. Allo show di Grillo – si tratta di comizi-show – giornali e tv locali dànno il massimo risalto. Nelle città, dopo che se n’è andatoi, non si parla d’altro. Dunque la raccolta mediatica è garantita. Sul secondo punto: i partiti, compreso quello di Monti, rischiano di far comizi in piazze semideserte, perché comunque il discredito verso i politici riguarda tutti. Non è più tempo di adunate neanche per la sinistra, come dimostra il sistema-Cgil che non consiste più nel convocare a Roma centinaia di migliaia di militanti, che non esistono più, ma nello spezzettare i cortei in tante di città, dove si vedono sfilare al massima qualche centinaio di lavoratori. La debolezza nei consensi viene così nascosta, i giornali – in genere amici – possono titolare: «Protesta in cento città» eccetera. Vuole la controprova di quello che sto dicendo? Ieri Renzi e Bersani si sono esibiti in un teatro. Pieno come un uovo, con la fila di fuori, ma era sempre un teatro. Tremila persone al massimo. E giornali di tutt’Italia lo avevano presentato come l’evento del giorno.
• Sembra sensato, ma piazza San Giovanni…
Grillo, sul suo blog, ha spiegato la cosa. In pratica dopo un tira e molla notevole con la Questura, quelli del Movimento 5 Stelle hanno presentato la domanda per primi. Stia a sentire: «…i nostri attivisti 5 stelle di Roma sono corsi in questura pronti in caso a fare l’ennesima nottata per questa nostra “insensata” voglia di far valere i nostri diritti. E, meraviglia, hanno trovato tutto pronto, moduli preimpostati per la richiesta ed ordine di presentazione rigorosamente rispettato. I signori del Pd sono arrivati dopo un poco di calma e come hanno visto che eravamo primi noi hanno avuto un leggero mancamento…». Che gliene sembra?
• È come al tempo dei radicali, che disputavano il primo posto sulla scheda al Pci.
Io ho invece l’impressione che il Pd abbia lasciato vincere i grillini. Se l’immagina la piazza San Giovanni mezza vuota? E magari l’arrivo di qualcuno con cartelli sul Monte dei Paschi? I teatri sono più affidabili e gli ingressi si controllano meglio. Il Pd vincerà le elezioni, ma i sondaggi gli accreditano comunque tre punti in meno rispetto al 2008. Sarà una vittoria, come si dice, non per “sorpasso”, ma per “sottopasso”.
• Tutte cose di cui nel comizio di Firenze non si è parlato.
Assolutamente no. Teatro Obihall di Firenze, Bersani in grigio con cravatta azzurra, Renzi in nero con camicia bianca («la camicia bianca delle primarie»). Un incontro molto simpatico. I due hanno voluto dare l’impressione di un partito unito, privo di crepe al suo interno. E direi che per la giornata di ieri ci sono riusciti. Renzi ha parlato per primo salutando, all’americana, «il prossimo presidente del Consiglio, Pier Luigi Bersani». «Quando tornerai da premier ti verremo a cercare e firmerai il libro d’onore di Palazzo Vecchio. E se lo dico io, che sono abbastanza bravo ad andare a cercare i presidenti del Consiglio anche in sedi non istituzionali…» allusione spiritosa a quella volta che il sindaco di Firenze andò a trovare Berlusconi ad Arcore scandalizzando i benpensanti della sua parte. È seguito un attacco a Monti, reo di aver tacciato il Pd di vecchiezza, dato che discende da quel Pci che nacque nel ’21 a Livorno da una scissione del Partito socialista.
• E Bersani?
Prima di cominciare s’è tolto la giacca, alla maniera di Renzi, proprio per rendere esplicitamente omaggio al suo sodale-rivale («se lo merita»). Ha rinnovato l’attacco a Monti e poi ha ribadito la sua posizione sul Monte dei Paschi: «Non siamo mammolette e non accettiamo che ci faccia la predica chi ha cancellato il falso in bilancio, che noi reintrodurremo il primo giorno di governo. Noi proponiamo una commissione di inchiesta sull’utilizzo dei derivati e per una regolamentazione più stringente».
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