2 febbraio 2013
APPUNTI PER GAZZETTA - TWITTER PAGHERA’ GLI EDITORI
MILANO - Accordo tra Google e lo stato francese per la remunerazione degli editori da parte del motore di ricerca americano. L’intesa, ha annunciato l’Eliseo, è stato firmato dal presidente della repubblica, Francoise Hollande, e il numero uno di Google, Eric Schmidt. "E’ un orgoglio per Francia aver realizzato questo accordo, il primo accordo di questo tipo al mondo", ha commentato Francois Hollande su Twitter annunciando un "fondo di 60 milioni di euro per la transizione digitale". La disputa durava da tempo. Secondo gli editori, i link alle loro notizie costituiscono una parte consistente delle pagine viste e quindi dei ricavi pubblicitari di Google, che ha sempre replicato di girare ogni mese quattro miliardi di clic verso gli editori di tutto il mondo.
Dopo l’ipotesi di una legge anti-Google, si è arrivati a un compromesso, anche perché molti Stati europei hanno dichiarato guerra fiscale alla società Usa. Solo in Francia, Google nel 2011 ha realizzato grazie alla pubblicità un giro d’affari di quasi 1,4 miliardi di euro, ma ha pagato solo 5 milioni di euro di tasse. In Italia, per più di 500 milioni di euro di pubblicità venduta, il motore di ricerca non avrebbe versato al Fisco neppure un euro: né Ires, né Irap, né Iva.
Sempre oggi, avrebbe fatto un passo in avanti anche un’altra questione che riguarda il motore di ricerca più usato al mondo. L’Antitrust europeo ha ricevuto alcune proposte da parte di Google per mettere fine all’abuso di posizione dominante (com il trattamento preferenziale ai propri motori di ricerca ’verticali’, specializzati). Lo ha indicato il portavoce del commissario Joaquin Almunia, che però non si è sbilanciato nè sulle valutazioni nè sui tempi di decisione. L’anno scorso google aveva proposto dei rimedi e le distanze con l’antitrust erano ridotte, ma bruxelles era in attesa di dettagli giudicati fondamentali.
"Oggi si è prodotto un avvenimento mondiale": con queste parole il presidente francese Francois Hollande ha commentato l’accordo, "la conclusione di un’intesa tra Google e un gruppo di giornali che è stato capace di unirsi per condurre questo negoziato, buono per la stampa francese, buono per i suoi contenuti e anche per il social network".
(01 febbraio 2013)
CINESI CONTRO TWITTER
DOPO il New York Times e il Washington Post un’altra vittima illustre sarebbe caduta sotto i colpi di hacker cinesi: Twitter. Ne ha dato notizia il social network con un post sul suo blog in cui si spiega come nell’ultima settimana siano state osservate una serie di attività "inusuali" e come sia stato arrestato un attacco in corso. Secondo il team di sicurezza di Twitter gli hacker (o sarebbe meglio dire cracker) sarebbero riusciti a compromettere "soltanto" 250.000 account in tutto il mondo, entrando in possesso di informazioni limitate riguardo agli utenti: username, email, password criptate (dunque difficili da decifrare). A tutti gli utenti colpiti dall’attacco - compreso chi scrive (FOTO) - Twitter ha reimpostato la password e inviato una mail, con mittente "@postmaster.twitter.com" in cui si richiede la scelta di una nuova parola chiave. L’oggetto del messaggio è il seguente: "Twitter ha reimpostato la password del tuo account". L’email inviata da Twitter prosegue così: "Twitter pensa che il tuo account sia stato compromesso da un sito internet o un servizio non associato a Twitter. Abbiamo reimpostato la tua password per evitare altri tentativi di accesso al tuo account da parte di questi servizi. Dovrai creare una nuova password per il tuo account Twitter. Puoi farlo cliccando su questo link".
Va detto come Bob Lord, responsabile della sicurezza di Twitter, non abbia parlato esplicitamente di hacker cinesi dietro gli attacchi, ma abbia menzionato i casi del New York Times e del Washington Post inscrivendo la compromissione del social network nel panorama di azioni ostili perpetrate contro i media statunitensi. Lord ha spiegato che "questo attacco non è opera di dilettanti, e non crediamo sia un incidente isolato. Gli attaccanti sono stati estremamente sofisticati, e riteniamo che altre società e organizzazione siano state attaccate in modo simile di recente".
Probabilmente nei prossimi giorni, grazie anche alla collaborazione del social network con l’FBI, si conosceranno ulteriori dettagli sulle modalità, i colpevoli e la portata degli attacchi subiti da Twitter.
Non è la prima volta comunque in cui Twitter, che il mese scorso annunciò di aver raggiunto un numero globale di non meno di 200 milioni di utenti attivi dei propri servizi, finisce nel mirino degli hacker: nel 2010 dovette infatti acconsentire con il governo degli Stati Uniti a sottoporsi per dieci anni a sistematiche revisioni dei suoi sistemi di tutela della privacy, proprio per non aver saputo salvaguardare le informazioni personali degli iscritti.
(02 febbraio 2013)
CORRIERE.IT
PARIGI - Dopo tre mesi di negoziati la Francia e Google hanno concluso un accordo che riconosce agli editori della stampa francese il diritto di essere pagati per i contenuti indicizzati dal motore di ricerca. Seduto alla scrivania dell’Eliseo come un capo di Stato, il presidente di Google Eric Schmidt ha firmato l’intesa accanto al presidente della Repubblica francese François Hollande, venerdì sera, davanti ai fotografi: il colosso di Mountain View si impegna a versare 60 milioni a un fondo che finanzierà progetti in grado di aiutare la transizione della stampa verso il digitale; seconda e non meno importante parte dell’accordo, Google diventa il partner privilegiato degli editori tradizionali per il loro passaggio all’online, fornendo «strumenti tecnici, ingegneri e competenza» soprattutto nel campo della raccolta pubblicitaria. Hollande e Schmidt hanno usato entrambi toni solenni. «Si tratta di un avvenimento di portata mondiale - ha detto il presidente francese dopo la firma -. È un bene per la stampa, per gli utenti di Internet, per Google. La Francia è fiera di avere promosso un accordo senza precedenti». Secondo il presidente di Google la firma è un «passo storico nell’interesse del popolo francese».
IL FONDO - In concreto, Google stanzierà 60 milioni in un «Digital Publishing Innovation Fund» che sarà gestito da un consiglio di amministrazione formato tra gli altri da Carlo d’Asaro Biondo (Google), Nathalie Collin (presidente degli editori e direttrice del Nouvel Observateur) e forse Marc Schwartz, il mediatore (nominato da Hollande a novembre) che ha permesso l’accordo. Il fondo valuterà i progetti giudicati «innovativi» che saranno di volta in volta presentati da quotidiani nazionali e regionali, settimanali e pure players (i giornali nati online come Mediapart, Slate, Rue89 e Atlantico), a condizione che si occupino di informazione. Sono escluse dall’accordo le testate di «divertimento» (sarà interessante osservare come verrà fatta la distinzione, ndr). E quando i soldi saranno finiti? «Ci ritroveremo qui per un’altra conferenza stampa con il presidente di Google» ha detto con una battuta Hollande. Ma al di là dei 60 milioni, che non sono poi una cifra enorme per un’azienda che solo nel 2012 ha fatturato 50 miliardi di dollari, il mediatore Marc Schwartz sottolinea che viene inaugurata «una vera cooperazione, una partnership tra gli editori e Google».
L’ACCORDO - In sostanza la stampa francese - soprattutto quella tradizionale - accetta di farsi insegnare da Google come raccogliere pubblicità nella speranza di non perdere troppi soldi nella transizione al digitale; e Google sembra disposto a offrire agli editori la canna da pesca (cioè la consulenza) oltre che il pesce non certo enorme (i 60 milioni). In ogni caso, all’Eliseo è stato accolto il principio che gli editori e lo Stato francese sostenevano dallo scorso settembre, e cioè che Google deve offrire un corrispettivo per i contenuti indicizzati nel proprio sito generale e in particolare nella sezione «News»: se un utente cerca notizie sulla guerra in Mali e Google gli offre decine di link a articoli di Le Monde, Figaro, Libération, Mediapart eccetera, è giusto che quei giornali vengano pagati, visto che alimentano un traffico che Google usa per vendere pubblicità. Per Hollande si tratta di un indubbio successo, almeno di immagine, visto che si era molto esposto per arrivare a un accordo: nei mesi scorsi, di fronte all’iniziale rifiuto di Google, il presidente e la ministra della Cultura Aurélie Filippetti avevano minacciato di ricorrere a una legge e a una nuova tassa se Google non avesse accettato un’intesa entro il 31 gennaio.
L’APPELLO - Di fronte all’alternativa - cedere con le buone o con le cattive -, il giorno successivo allo scadere dell’ultimatum Schmidt ha preferito giocare la parte del salvatore della stampa tradizionale, e Hollande può evitare così di imporre un’ennesima imposta. Resta aperta la più ampia questione fiscale che riguarda tutti i grandi operatori anglosassoni (come Amazon o Apple) ma, soprattutto, sarà interessante vedere se e come il precedente francese troverà applicazione in Germania e Italia: il 25 ottobre scorso a Roma gli editori francesi, tedeschi e italiani avevano sottoscritto un appello comune ai rispettivi governi per «una adeguata remunerazione dello sfruttamento delle opere editoriali». La Francia si è mossa per prima.
@Stef_Montefiori
GIULIO ANSELMI - CORRIERE.IT
MILANO - «Vive la France!». Accoglie così Giulio Anselmi, presidente della Federazione italiana editori giornali (Fieg), la notizia dell’accordo tra Google e gli editori della stampa francese, in base a cui si riconosce il principio che le notizie pubblicate dal motore di ricerca debbano essere pagate. L’intesa «rappresenta un passo in avanti importante nella direzione in cui pure noi ci stiamo muovendo da tempo - spiega Anselmi -. Anche gli editori italiani, insieme con quelli francesi e tedeschi, hanno avanzato la richiesta a Google che i contenuti vengano pagati, in base all’applicazione del diritto d’autore». «Oltre a trattare direttamente con il motore di ricerca, sulla questione la Fieg aveva cominciato a ragionare con Palazzo Chigi - ricostruisce Anselmi -. Vista la situazione politica il percorso si è interrotto ma contiamo di riprenderlo non appena ci sarà un nuovo governo». «Anche se va detto - ammette - che sul tema l’esecutivo francese è stato più attivo di quello italiano».
ACCORDO - Sulla strategia, Anselmi conferma che, proseguendo sulla linea tenuta finora, la Fieg non intende procedere per vie legali contro il motore di ricerca ma punta piuttosto - come in Francia - a raggiungere un accordo. Già lo scorso dicembre - a proposito degli editori brasiliani che hanno abbandonato Google News per protestare contro il mancato pagamento delle notizie - Anselmi aveva assicurato che «gli italiani non pensano di uscire» dalla piattaforma ma che «nessuno è disponibile a cedere alla prepotenza». E aveva sottolineato che «tra una Rete libera e la gratuità dei contenuti c’è una grande differenza». In Italia le prime criticità nei rapporti tra il motore di ricerca e gli editori della stampa erano emerse già a partire dal 2009, quando la Fieg aveva sollecitato all’Antitrust l’apertura di un’istruttoria contro Google. Il risultato era stato che gli editori potessero ottenere di rimuovere i contenuti all’interno di Google News Italia e una maggiore trasparenza da parte del motore di ricerca in termini di vendita degli spazi pubblicitari. Già allora, però, l’Autorità sollecitava anche una revisione della normativa del diritto d’autore, adeguandola alle nuove esigenze del web.
Alessia Rastelli
SOLE 24 ORE
PARIGI. Dal nostro corrispondente
Pace fatta tra Google e gli editori francesi. Dopo anni di polemiche e tre mesi di trattativa, l’accordo è stato solennemente firmato ieri sera all’Eliseo dal presidente francese François Hollande e dal presidente del colosso di Mountain View Eric Schmidt.
In cambio dell’utilizzo da parte del motore di ricerca degli articoli dei mezzi d’informazione, Google finanzierà con 60 milioni un fondo destinato a sostenere lo sviluppo dell’informazione online, in sostanza la transizione dalla carta al web. Un consiglio di amministrazione di sette persone (esponenti degli editori, di Google e indipendenti) gestirà il fondo e valuterà quali progetti finanziare, con l’obiettivo di utilizzare le risorse in un periodo compreso tra tre e cinque anni. A beneficiare di questi stanziamenti saranno tutte le testate generaliste, mentre sarebbero escluse quelle dell’informazione "people". I criteri dovrebbero essere quelli dell’innovazione e della solidità del "business plan".
Un secondo punto dell’intesa è di carattere commerciale: gli editori potranno utilizzare per la loro attività promozionale tutte le piattaforme di Google per cinque anni a condizioni vantaggiose.
Lo scontro vero e proprio era cominciato nel settembre scorso, quando gli editori - guidati da Nathalie Collin - erano partiti all’attacco frontale di Google, lamentando di non ricevere alcuna remunerazione per l’utilizzo che il motore di ricerca faceva degli articoli prodotti da giornali e siti d’informazione. E sollecitando il Governo a varare una legge destinata a creare un "diritto" analogo a quello "d’autore". A questa prospettiva, Google aveva reagito minacciando di escludere le testate francesi dal motore di ricerca.
Il 29 ottobre Hollande aveva quindi incontrato Schmidt e gli editori invitandoli a cercare un’intesa. Aveva nominato un mediatore, Marc Schwartz, e fissato una scadenza, il 31 dicembre. Superata la quale il Governo sarebbe appunto passato all’iniziativa legislativa. All’inizio di dicembre le posizioni avevano iniziato a convergere: Google aveva messo sul tavolo 50 milioni e gli editori ne chiedevano 70. A quel punto l’Eliseo aveva concesso un altro mese. E poche ore dopo quest’ultima scadenza - a quanto sembra in seguito a un contatto diretto tra Hollande e Schmidt - è finalmente arrivato l’accordo. Che sembra soddisfare tutti: Google, che evita la legge e se la cava con una cifra del tutto ragionevole (anche se certo l’intesa rappresenta un precedente e verrà via via estesa agli altri Paesi); gli editori, che ottengono una nuova fonte di finanziamento dei loro investimenti nell’informazione online in un momento particolarmente difficile per il settore.
Nel frattempo Google ha già raggiunto (lo scorso 13 dicembre) un accordo analogo in Belgio (da 5 milioni), mentre il Governo tedesco ha presentato in Parlamento un progetto di legge finalizzato a imporre una remunerazione. Poiché gli editori dei mezzi d’informazione francesi, tedeschi, italiani e svizzeri hanno però fatto fronte comune nella battaglia contro Google, è alquanto probabile che il "modello francese" venga ben presto adottato anche in Germania, Italia e Svizzera.
ILMESSASGGERO.IT
PARIGI - Nonostante l’imminente partenza per il Mali il presidente francese Francois Hollande è riuscito a "piegare" Google, il colosso americano del web, nella lunga diatriba legata alla remunerazione degli editori francesi da parte dei motori di ricerca. Al termine di un incontro a Parigi tra il capo dello Stato e il numero uno di Google Eric Schmidt - che ha messo la parola fine a oltre due mesi di difficili negoziati - l’Eliseo ha annunciato in particolare la creazione di un «fondo di 60 milioni di euro», interamente finanziato dal colosso americano, che avrà lo scopo di «facilitare la transizione della stampa verso il mondo digitale».
Il consiglio di amministrazione del Fondo sarà composto da rappresentanti di Google, dell’editoria, ma anche da personalità indipendenti. Mentre il suo utilizzo sarà controllato da un organo esterno e indipendente. Il Fondo sarà aperto a tutti i siti di informazione generalista e politica. «Il suo compito sarà di selezionare i progetti meritevoli che riceveranno un aiuto», spiega Marc Schwartz, il mediatore del governo francese per la trattativa con Google. L’accordo firmato a Parigi prevede anche un «partenariato commerciale» di una durata di cinque anni. Obiettivo? Aiutare la stampa a svilupparsi su internet, «accrescendo i suoi redditi on-line», ha precisato un portavoce di Google.
Per Schmidt, quello firmato oggi è «un accordo storico, nell’interesse del popolo francese». «Meglio un accordo che una legge», ha aggiunto. Lo scorso novembre - nel corso di un incontro all’Eliseo - Hollande aveva lanciato un avvertimento al numero uno di Google, chiedendogli di aprire al più presto una trattativa con gli editori e giungere a una soluzione sul problema dei contenuti della stampa on-line, se non voleva incorrere nella temutissima ’Google tax’. La scadenza delle trattative era stata fissata in un primo tempo al 31 dicembre scorso, ma Parigi ha poi concesso un mese ulteriore per giungere a una soluzione.
Per il ministro dell’Economia digitale, Fleur Pellerin, la somma di 60 milioni di euro è «molto soddisfacente. Non è una pura sovvenzione. È un aiuto alla trasformazione in modo che gli editori della stampa possano modernizzare i loro modelli economici». «L’insieme degli editori dell’informazione generalista e politica si rallegrano per l’accordo raggiunto con Google - afferma da parte sua Nathalie Collin, presidente dell’associazione degli editori che ha partecipato alla trattativa - questo accordo è una prima mondiale e consentirà agli editori (...) di andare avanti nella loro mutazione digitale». Per molto tempo, gli editori francesi, italiani e tedeschi hanno fatto quadrato per chiedere di tassare il colosso di Mountain View, visto che grazie ai loro contenuti il gigante americano del web genera profitti colossali, senza contropartita.
IL FATTO LO SCORSO 31 OTTOBRE
LEONARDO MARTINELLI
Una sorta di minaccia: trovate un’intesa da qui a fine anno. Altrimenti, ci penseremo noi. E’ in sostanza il messaggio inviato da François Hollande a Google, dopo averne incontrato nei giorni scorsi il presidente, Eric Schmidt, direttamente nelle stanze dell’Eliseo. Il motore di ricerca deve iniziare una trattativa vera e propria con gli editori francesi, che rivendicano una compensazione economica, dovuta all’utilizzo dei loro articoli, mandati in circolo da Google. Altrimenti sarà il governo francese a prendere l’iniziativa, con una legge. E un’imposta ad hoc da pagare.
Quello che chiedono gli editori francesi – La polemica va avanti da mesi e nella battaglia gli editori francesi sono appoggiati dai colleghi italiani e tedeschi. Pretendono che Google paghi una tassa, una sorta di diritto d’autore, per gli articoli rilanciati dal motore di ricerca, in particolare attraverso Google news. Un’iniziativa simile esiste già in Germania, un progetto di legge, che attende di essere esaminato dal Parlamento (la cosiddetta “lex Google”). Come indicato da Nathalie Collin, copresidente del gruppo Nouvel Observateur e alla guida dell’Ipg, l’associazione della stampa d’informazione politica e generalista, “le entrate pubblicitarie dei media online sono stagnanti e in molti casi si stanno riducendo. Chi deve mettere un annuncio, preferisce pagare il motore di ricerca, che dispone di un’offerta molto più specifica, per ogni tipo di internauta, più che rivolgersi direttamente ai media”. Secondo le stime di Ipg, il fatturato pubblicitario realizzato da Google in Francia ammonterebbe a 1,2 miliardi di euro contro neanche 200 milioni per la stampa online. “Ogni visitatore – secondo la Collin – permette in Francia a Google di incassare tra i 40 e i 50 euro all’anno”.
Ma non tutti sono d’accordo – Non tutti gli editori francesi, però, si trovano sulla stessa lunghezza d’onda. Dissentono i “player” puri, i siti d’informazione che non dipendono da giornali e periodici e dai grandi gruppi editoriali, come, in Francia, Mediapart, Atlantico, Slate e Rue89. Hanno costituito l’associazione della stampa online (Spiil). Ritengono che l’introduzione di una tassa non sia la soluzione più appropriata. “Rappresenterebbe per l’editoria un’entrata a breve termine ma sul lungo periodo rischia di distruggere la diversità dell’informazione – ha sottolineato Maurice Botbol, presidente della Spiil -. La stampa nel nostro Paese è già così dipendente da Google per l’audience e alla fine si aggiungerebbe una dipendenza economica. Google potrebbe arrivare a decidere tutto”. Più che un’imposta i siti d’informazione “puri” chiedono che lo Stato francese faccia pagare al gruppo americano le tasse sugli utili, che evita operando in Europa dall’Irlanda e dal Lussemburgo. Secondo la Spiil “una lex Google in Francia non farebbe altro che prolungare artificialmente dei modelli economici che hanno dimostrato di non funzionare più”, alludendo al sistema pubblico di finanziamento ai giornali e all’editoria, ormai fortemente criticato a Parigi.
Come risponde Google – Il motore di ricerca, da parte sua, ribatte alle accuse. I dirigenti di Google ritengono che proprio l’indicizzazione degli articoli spinga nuovi visitatori verso i siti d’informazione. E permetta loro di sviluppare nuovi ricavi pubblicitari. Google stima a oltre quattro miliardi i clic generati ogni mese (grazie alle sue indicizzazioni) sui siti dei diversi gruppi editoriali a livello mondiale. Per il gruppo americano “esigere da Google una remunerazione perché il suo motore di ricerca sposta lettori verso i siti d’informazione è come pretendere da un taxi che trasporta il cliente di un ristorante di pagare una certa somma a quest’ultimo”. La minaccia di Google? Smettere di indicizzare gli articoli dei media francesi, come già sta facendo per quelli brasiliani, dopo una bagarre simile.
La posizione del governo francese – Dopo aver incontrato Schmidt, il presidente di Google, Hollande ha reso pubblico un comunicato nel quale ammette “di aver spiegato al suo interlocutore che lo sviluppo dell’economia digitale richiede un adattamento della fiscalità”. “Il presidente – continua la nota – si augura che dei negoziati possano iniziare rapidamente e concludersi da qui alla fine dell’anno tra Google e gli editori”. E, “se necessario, una legge sarà approvata, sul modello del progetto tedesco”. Insomma, attenti quelli di Google: se non si piegano, l’esecutivo comunque interverrà. Particolarmente agguerrita per spuntare un provvedimento del genere, che imponga una tassa a Google, appare Aurélie Filippetti, ministro della Cultura, che ha le gestione del dossier. E’ molto probabile che il motore di ricerca alla fine qualcosa accetti di pagare. Più o meno.
http://www.tomshw.it
Francia e Italia stanno pensando a un tassa digitale per i colossi del web come Google, Apple, Facebook e Amazon. Il promotore dell’iniziativa è il senatore francese Philippe Marini, il consigliere per le questioni fiscali dell’ex presidente Sarkozy. In questi giorni sta incontrando a Roma alcuni parlamentari italiani, per trasformare quella che inizialmente sembrava una proposta di legge nazionale in un progetto comunitario. A suo parere infatti bisogna mettere fine alla "situazione fiscale privilegiata di cui godono le multinazionali del web". Dello stesso avviso in verità il Presidente Hollande.
"Scelgono le proprie sedi giuridiche europee in Stati a basso tasso di fiscalità realizzando allo stesso tempo una quota significativa del loro fatturato nei cinque Stati europei più popolati’’, ha spiegato Marini. Il caso emblematico è quello di Google che sfruttando la sede di Dublino pare essere riuscita a eludere il pagamento di circa 1 miliardo di euro di tasse. Non meno importante il fatto che fino al 2019 l’IVA sarà calcolata in base al tasso stabilito dalla nazione dove è presente la sede giuridica.
Il Senatore Philippe Marini
"Ho proposto ad alcuni colleghi parlamentari una road map perché le multinazionali digitali siano trattate alla stregua di tutte le altre società. Noi rappresentiamo il loro primo mercato mondiale, abbiamo permesso loro di crearsi una posizione dominante e queste non pagano le tasse", ha concluso Marini.
Nello specifico il documento programmatico del senatore prevede tre obiettivi. A breve termine (a livello nazionale) "una tassazione neutra ed equa" per i colossi stranieri. A medio termine (a livello comunitario) un cambiamento dell’applicazione IVA sui servizi digitali che tenga conto del paese dove si realizzano gli acquisti. A lungo termine (a livello internazionale) la ridefinizione delle regole per la tassazione dei profitti.
http://www.philippe-marini.net/annonces/philippemariniproposeunefeuillederoutepourunefiscalitenumeriqueneutreetequitable-communiquedepressedephilippemarinidu27062012
Réunie le 27 juin 2012, la commission des finances a entendu une communication de Philippe Marini (UMP, Oise), président, sur la fiscalité numérique.
Deux ans après l’organisation par la commission des finances d’une première table ronde, le 7 avril 2010, et la publication d’un rapport sur l’impact du développement du commerce électronique sur les finances de l’Etat, Philippe Marini est revenu sur l’origine du débat sur la fiscalité numérique et les raisons qui ont conduit le Parlement, en loi de finances pour 2011, à instituer une taxe sur les services de publicité en ligne égale à 1 % du montant de la prestation. A l’époque, cette première initiative improprement qualifiée de « taxe Google » avait recueilli, dans son principe, une large approbation du Sénat, mais par la suite, cette disposition a été supprimée en loi de finances rectificative pour 2011, avant la date d’entrée en vigueur de la taxe, au motif qu’elle ne s’appliquait qu’aux annonceurs basés en France, sans atteindre les acteurs établis à l’étranger.
A l’issue de cette première phase de travaux législatifs, Philippe Marini a poursuivi, au cours du premier semestre 2012, un cycle d’auditions, de participation à de nombreux forums et de déplacements, notamment à Dublin, au siège de Google, et à Bruxelles auprès des services de la commission européenne. Il a constaté que les phénomènes de distorsion de concurrence et les stratégies d’optimisation fiscale employées par les grands groupes de l’Internet, dans les secteurs notamment de la publicité en ligne et du commerce électronique, sont de plus en plus largement dénoncés parmi les acteurs et professionnels de l’économie numérique. Il faut signaler le danger que représente la concurrence déloyale des grands acteurs de l’Internet– les fameux « GAFA » (Google, Apple, Facebook et Amazon) – basés dans les pays à fiscalité basse, ainsi que l’érosion des recettes fiscales de TVA, d’impôt sur les sociétés et des divers prélèvements permettant de financer la culture.
Partant de ces constats et compte tenu des enjeux politiques majeurs (compétitivité, croissance des marchés, impact sur l’industrie européenne, équilibre des finances publiques), Philippe Marini a présenté une feuille de route opérationnelle aux niveaux national, européen et international qui comprendrait trois objectifs :
1) à court terme, le niveau national au moyen d’une proposition de loi prévoyant un dispositif de déclaration fiscale applicable aux acteurs étrangers pour une série de taxations destinées à rétablir la neutralité et l’équité fiscale ;
2) à moyen terme, le niveau européen avec le raccourcissement du délai de basculement de la TVA sur les services électroniques vers le pays de consommation ;
3) à moyen et long termes, le niveau international avec la redéfinition des règles d’imposition des bénéfices.
Au plan national, l’économie générale de la proposition de loi, dont le dépôt interviendra début juillet, prévoit l’insertion d’un nouveau chapitre dans le code général des impôts, intitulé « Fiscalité numérique », et comporte deux volets :
- d’une part, un volet procédural mettant en œuvre une obligation de déclaration d’activité par les acteurs de services en ligne basés à l’étranger à partir de certains seuils d’activités et selon deux variantes ; l’entreprise assujettie opterait, soit pour la désignation d’un représentant fiscal sur le modèle procédural de l’agrément accordé aux sites de jeux en ligne, soit pour le régime spécial de déclaration des services fournis par voie électronique qui est une procédure simplifiée et dématérialisée permettant de respecter les principes du droit européen de non discrimination et de proportionnalité ;
- d’autre part, un volet fiscal comportant deux séries de taxation. La première destinée à assurer la neutralité fiscale en matière de taxation de la publicité en ligne (taxe Google 2.0) et de commerce électronique (Tascoé) au dessus de certains seuils d’activité. En application du principe de la neutralité technologique, la « taxe Google 2.0 » a pour objet de transposer au média Internet l’actuelle taxe sur la publicité diffusée par voie de radiodiffusion sonore et de télévision due par les régies publicitaires (assise sur les sommes, hors commission d’agence et hors taxe sur la valeur ajoutée, payées par les annonceurs aux régies pour les services de publicité dont l’audience est obtenue en France, cette nouvelle version de la taxe sur la publicité en ligne diffère radicalement de la précédente car elle s’appliquerait dorénavant aux régies, où qu’elles se situent, et non aux annonceurs, et serait calculée en appliquant un taux de 0,5 % à la fraction de l’assiette comprise entre 20 millions d’euros et 250 millions d’euros et de 1 % au-delà, ce qui produirait un gain fiscal de moins de 20 millions d’euros). Sur le même principe, la « Tascoé » vise à transposer au commerce électronique la taxe sur les surfaces commerciales (Tascom) tout en intégrant un dispositif de déductibilité pour les commerçants utilisant les deux canaux de commercialisation. Son produit pourrait être affecté au Fonds national de péréquation des ressources intercommunales et communales (FPIC). Enfin, la seconde série de taxation a pour objet d’établir l’équité fiscale en étendant aux acteurs étrangers de l’internet les dispositifs existants au profit de la culture et qui s’appliquent aux services de télévision et à la fourniture de vidéogrammes à la demande.
Au-delà de cette proposition de loi, Philippe Marini a mis en exergue deux initiatives qui méritent un soutien spécifique et la recherche de synergies avec les parlementaires et les Gouvernements des Etats rencontrant les mêmes problématiques (Grande-Bretagne, Allemagne, Italie, Espagne, etc.) de distorsion de concurrence et d’optimisation fiscale des grands acteurs du net :
- au niveau européen, avancer le calendrier de mise en œuvre de la directive TVA relative aux services électroniques (2008/8/CE du 12 février 2008) qui, en l’état, entre en vigueur le 1er janvier 2015 mais reporte à 2019 la perception effective de la TVA sur les services électroniques par l’Etat de résidence du consommateur final ;
- et au niveau international, initier un processus d’adaptation des règles d’imposition des bénéfices établies par l’OCDE, en prenant en compte la spécificité de l’économie numérique et de la dématérialisation des flux de richesses.