Alessandro Penati, la Repubblica 2/2/2013, 2 febbraio 2013
UN PRIVATE EQUITY TARGATO BENETTON
I BENETTON stanno studiando una integrazione societaria tra Atlantia (Autostrade per l’Italia) e Gemina (Aeroporti di Roma), due società che controllano. Essendo quotate, la Borsa è interessata a conoscere le modalità e condizioni dell’operazione che verranno
proposte.
In un mercato dei capitali efficiente, Atlantia lancerebbe un’offerta pubblica, lasciando alle minoranze di Gemina la decisione se accettarla. Ma in Italia quando l’azionista di controllo delle due società è lo stesso, caso frequente, si opta per la fusione perché in assemblea riesce a imporre la sua volontà. È vero che il regolamento delle operazioni tra parti correlate, faticosamente partorito dalla Consob, attribuisce agli amministratori “indipendenti” il potere di fare valutazione e proposte proprie in assemblea. In pratica, l’amministratore “indipendente” non è mai stato la soluzione ai conflitti di interesse. Bisognava far votare solo le minoranze in questo tipo di operazioni. Ma ne è mancato il coraggio.
Il parco buoi però può stare tranquillo perché una parte rilevante del capitale di minoranza di Gemina (40%) è frazionata tra Mediobanca, Generali, Unicredit, il costruttore Toti, Fondiaria e Changi (Singapore): per questa volta, quindi, azionisti di “sistema” e peones sono sulla stessa barca. Probabile che il nutrito gruppo di periti, banche d’affari e consulenti chiamati a valutare l’operazione certificheranno la congruità dei prezzi relativi di Borsa, che attribuiscono oggi ai soci di Gemina circa il 17% della nuova società, ovvero un concambio 1 a 11, esattamente a metà strada della forchetta che, secondo le indiscrezioni (magari pilotate) verrà proposta.
Per la fusione si reclama una logica industriale; a me sembra esclusivamente finanziaria. Atlantia non possiede l’infrastruttura autostradale, ma la concessione a incassare i pedaggi in cambio della manutenzione e degli investimenti concordati col Governo. Dato traffico, pedaggi e investimenti negoziati, i cash flow sono quasi predeterminati. Lo stesso vale per Gemina e Aeroporti di Roma. Molto del valore delle due società dipende quindi dalla capacità di negoziare col Governo. Più qualche vantaggio collaterale: una quarta pista a Fiumicino (quando Londra-Heathrow ne ha due), su terreni dei Benetton; il ministro che sposta la concorrenza di Ryanair dal comodo Ciampino a Viterbo; la controllata Autogrill attiva sulle autostrade; l’aumento dei diritti di atterraggio alla vigilia della fusione.
La chiave del successo è controllare col minimo dei capitali attività che generano il massimo dei cash flow.
E i Benetton lo fanno benissimo. Ai prezzi di mercato il valore delle attività combinate di Atlantia e Gemina è di 24 miliardi. I Benetton le controllano con appena 2,7 miliardi: una “leva” effettiva di 9 volte, altro che hedge fund. Come? Primo: tanto debito nelle società operative, 13 miliardi complessivamente secondo l’ultima trimestrale. Secondo: una holding, Sintonia, per
esercitare il controllo con una minoranza del capitale (46% Atlantia e 36% Gemina). Terzo: indebitare anche la holding (760 milioni) e controllarla attraverso un’altra holding, Edizione, la cui quota in Sintonia (66%) vale, appunto, 2,7 miliardi. Quando, per il rimanente 34%, gli altri tre soci hanno versato 2 miliardi.
Guardando avanti, però, le prospettive della crescita del traffico in un paese stagnante come l’Italia, non lasciano ben sperare; come la possibilità di negoziare tariffe e pedaggi generosi quanto in passato. E il consistente debito accumulato complessivamente dalle due società (circa 4,5 volte il margine operativo lordo secondo la stima media) potrebbe diventare eccessivo. Accorpare tutte le attività serve dunque a fronteggiare meglio il debito. E a semplificare la struttura proprietaria, rendendo la società derivante dalla fusione più appetibile per eventuali nuovi azionisti, necessari per sostenere un’espansione in mercati in forte crescita, senza aggiungere altro debito. Di industriale c’è ben poco. Anzi ce n’è sempre stato ben poco nel business di Sintonia, fatto di finanza e negoziazioni col Governo. Come un fondo di private equity: ma molto ben gestito.