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 2013  febbraio 02 Sabato calendario

MATTEO MARSIGLIA ROMA CAPUT MONTI

Parlando di lui, tempo fa, Kristian Ghedina disse: «Se mi fosse stato davanti un romano sarei diventato pazzo». Ci sta che un montanaro doc rosichi a farsi battere da un cittadino. Nel superG di Beaver Creek, in Colorado, Matteo Marsiglia 27 anni, nato e cresciuto tra la Cassia e i Parioli ha dato questo dolore ai suoi rivali. Un romano davanti a tutti. «Anche i miei compagni di squadra ci scherzano e dicono che non vogliono più essere battuti da me».

Come ci finisce un romano tra i campioni di sci?
«La famiglia paterna è ligure-piemontese. Ma mio nonno, ingegnere, si trasferì a Roma per lavoro con i sei figli. Papa è cresciuto lì, dove ha poi incontrato mamma, tennista in prima categoria. Siccome mio nonno faceva parte del gruppo di ingegneri e architetti che negli Anni 70 costruì tutta la parte nuova di San Sicario, papa decise di diventare maestro e allenatore di sci. Così faceva il pendolare. Poi, è toccato anche a noi figli».

Vita difficile?
«Più o meno, sciavamo sempre tra il Terminillo, Ovindoli e Campo Felice. Ma erano frequenti i weekend a San Sicario: 700 km ad andare e 700 per tornare. Poi abbiamo iniziato proprio a dividerci».

In che senso?
«Alle scuole medie facevo il primo quadrimestre a Roma e il secondo a Sestriere. Ma sapevamo che col liceo non si poteva più continuare. Così una sera, a San Sicario, con tutta la famiglia riunita intorno a un tavolo, abbiamo deciso di trasferirci lì. Solo allora ho avuto qualche problema».

Perché?
«Frequentavo il primo liceo scientifico, a Ulzio. Andavo bene ma ero ancora all’ultimo anno della categoria Allievi sugli sci. Tradotto: avevo fatto solo la metà delle assenze che avrei fatto l’anno successivo, con le gare internazionali. A fine anno mi ritrovai con un debito in francese. La prof era la moglie del preside, che già contestava le mie assenze. Così mi sono spostato a Bardonecchia, in una scuola speciale per gli sciatori».

Arriva ai Mondiali al 2° posto in classifica di superG. Finalmente una stagione senza infortuni.
«Parto con l’elenco: il collaterale del ginocchio sinistro è stato il primo. Poi mi sono rotto malleolo della gamba destra, collaterale, menisco e piatto tibiale destri, tendine rotuleo sinistro. Mi sono fermato e operato. Poi mi sono inchiodato con la schiena. Così fino all’anno scorso».

A Beaver Creek era sanissimo.
«La prima vittoria sulla mia pista preferita. In camera avevo il poster di Beaver Creek già da tempo. All’estrazione dei pettorali, il giorno prima, avevo detto al mio allenatore per scherzare "se mi porti il 12 vinco". E lui ha pescato proprio il 12!».

Come hanno reagito i rivali, battuti da un romano?
«La cosa che più mi ha commosso è stato l’affetto vero di tutti i miei colleghi, anche stranieri. Lo stesso quando sono arrivato secondo in Val Gardena».

Quale potrebbe essere la sua arma in più ai Mondiali?
«La sensazione di benessere generale, la consapevolezza che tanti sacrifici sono stati ripagati. E la pista mi si addice».

Il successo fa andare più veloci anche con le ragazze?
«Non ci ho fatto caso...».

Dicono che abbia fama di playboy.
«Sono fidanzato. Con una collega straniera, ma ancora non l’ho detto in giro».

Sarà un trauma per le tifose. Come si sono comportate finora?
«Una volta a Bormio una mi ha preso e mi ha quasi baciato dicendo "sei bellissimo". Devo dire che dopo la vittoria ho notato un bel ritorno. Anche su Twitter e Facebook. Sono cresciuto con l’idolo Tomba e vorrei tanto riportare l’interesse per lo sci a quegli anni lì».

Per diventare personaggio però la fidanzata sciatrice non funziona molto. Meglio una velina.
«Allora vediamo, tanto l’indole resta sempre quella del Don Giovanni...». intanto ha perso l’accento romano. «Ma non la fede. Ho dovuto combattere: mamma romanista e papà juventino. Papà ci ha provato in ogni modo. Ho delle foto da bambino con la maglia bianconera. Ma ha perso: tre figli, tre romanisti».

Che tifoso è? «Non malato, ma lo seguo. Giocavo tanto da ragazzo, ora è vietato!».

Va mai allo stadio?

«Dopo tanto tempo ci sono tornato quest’autunno. Purtroppo. Juventus-Roma a Torino. Dopo venti minuti perdevamo 3-0 ed è finita 4-1. Però ho conosciuto un po’ di gente dello staff giallorosso. Dopo aver vinto a Beaver Creek la società mi ha fatto i complimenti sul sito della Roma. E mi hanno invitato a Trigoria per conoscere il grande capitano, che mi ha già mandato una maglia autografata».

Voi sciatori non potete giocare a calcio, ma imitate i piloti...
«Dobbiamo stare attenti. Abbiamo una percezione della velocità alterata. Siamo così abituati ad andare a 130 all’ora su ’sti due pozzetti di legno che quando siamo in auto ci sembra sempre di andare piano. Di sciatori senza il piede pesante in auto non ne ho conosciuti molti».