Arianna Finos, la Repubblica 2/2/2013, 2 febbraio 2013
AMBRA “COSÌ IN MONTAGNA MI SENTO
[L’attrice: arrampicandomi ho capito chi sono] –
«La montagna è la versione più privata di me. È fatta per persone taciturne, solitarie, che hanno bisogno di pensare. E io, per compensare la versione circense di quello che faccio — e lo dico con affetto — quando scelgo di andare via, ho bisogno di farlo davvero». Ambra Angiolini è nella sua casa a Brescia, fuori nevica e lei per la prima volta racconta la sua passione segreta: «L’amore per le arrampicate è iniziato a diciassette anni. Andai in Umbria da sola, in fuga da una serie di delusioni sentimentali. Sono finita in un agriturismo pieno di sportivi. In quella settimana ho scoperto il divertimento e ciò per cui un po’ sono nata: fare “casa” ovunque ci sia un po’ di bellezza e voglia di condividerla».
A A llora — spiega — ha sempre cercato di tenere alto l’onore di questa passione. «Che non è semplice da gestire: devi avere tempo, essere fisicamente preparato, perché la prudenza non è mai troppa. È il mio sfogo segreto, non mi immagino la vita senza». Trentasei anni ad aprile, Ambra ha una vita complicata: vive a Brescia con la sua famiglia, viaggia in treno per l’Italia, si divide tra il cinema e il teatro. È in tournée con il nuovo spettacolo (Ti ricordi di me?) in coppia con Edoardo Leo (dal 5 al 7 febbraio sono a Roma, teatro Golden). Compagna di Francesco Renga da oltre dieci anni, è madre di due figli. «Con la famiglia, la montagna è diventata più difficile, riesco a partire due volte l’anno. Amo i percorsi d’inverno malgrado il freddo, le piogge, i terreni fangosi». Mai tentato di convincere Renga a seguirla? «Per buttarlo di sotto?», scherza. «Se venisse con me passeremmo il tempo a salvarci l’un l’altro dal precipizio. Francesco non è sportivo, non è il suo mondo, non è la sua storia. Preferisce altro. E non si deve mica condividere sempre. Ammiro le coppie che fanno tutto insieme, anche la spesa, ma io non ce la farei». Con i figli va meglio, «qualche percorso facile già lo fanno. Si divertono a seguire la mamma in quelle che chiamano “le avventure”. La femmina ha il mio stesso spirito, il maschio lo vedo più da divano e tisana calda, ma poi chissà». La mamma stile Lara Croft piace, «io invece mi sento ridicola. Anche se sono fisicamente adatta. Sono maschile, ho le spalle larghe. E sono abituata a portare pesi: la montagna è metaforicamente più vicina a quello che faccio in generale».
Lavora da quando era una ragazzina, il ballo, il canto, la tv, la rinascita in teatro e in radio. Soprattutto il cinema, nel 2006 l’incontro con Ferzan Ozpetek e Saturno contro, il Nastro d’argento e il David di Donatello, il successo. «Ma crescendo ho capito che lo spazio privato è necessario anche nei momenti della vita in cui sei preso dal vortice del lavoro. Ho imparato a gestire il tempo. A ricavare istanti lontani dalla routine. Io uso molto la testa in modo improprio — sono una che pensa, e pensa, e pensa — e solo appesa a una montagna o sul palco a teatro riesco a vivere davvero il momento». Mai avuto attimi di panico, timori di non arrivare in cima, «sentirsi onnipotenti in questi sport provoca solo danni, la montagna è una scuola di umiltà. La sfida è capire dove appigliarti e incastrarti con il corpo». Proprio come nella carriera. «Nel senso che nel mio lavoro non sono a passeggio, sono in arrampicata spesso libera. È il mio modo di fare le cose, mi rende felice anche se richiede sforzi superiori al sopportabile ». C’è stato un periodo, nella vita, in cui si è davvero sentita sospesa nel vuoto: «Gli anni tra i 17 e i 23 sono stati un periodo difficile e importante. Andavo avanti a vista, da capocordata. Sono scivolata, ho recuperato, mi sono fermata.
Ho dovuto capire chi ero». La rinascita, passata la fase baby star di Non è la Rai, è ripartita dalla radio: «Con onestà ammetto che mi offrivano solo quello. Poi mi sono appassionata. Non mi bastava andare in voce da “fenomeno”, volevo farlo bene come gli altri». Tenace, dritta alla meta, Ambra lo è stata fin da ragazzina. «Rompevo le scatole a mia sorella, otto anni più grande, perché sapevo che i miei lavoravano e dovevamo fare tutto noi. Pulire la casa, tentare di preparare di pranzo, fare la spesa. Avevo il terrore di non farcela e così sono diventata un soldato. Cosa faticosa ma che si è rivelata utile. Perché un esordio come il mio è difficile da gestire nel tempo se non hai la tempra».
Un debutto televisivo, il suo, nato per caso. «Abitavo tra Palmarola e Ottavia, periferia di Roma. Luoghi dove nessuno diventava famoso o aveva il sogno di farlo. Non c’erano i reality e i talent show. Per togliermi dalla strada mia mamma chiese a mio fratello di accompagnarmi a fare sport. Studiavo danza classica e moderna. La maestra mi faceva da tata, i pomeriggi li passavo in palestra. Mi chiamarono per ballare a un Fantastico con la Carrà e Johnny Dorelli. Il primo di una serie di lavoretti che feci con disincanto e serenità. Ai provini per Bulli & pupe eravamo in seimila. Il successo per me non era pensabile». E invece accadde. Ma non mi sono mai montata la testa. Mio papà fa ancora il commerciante di salumi, mia madre è una commercialista in pensione. Mio fratello, che studia da una vita, è operatore ecologico, mia sorella aiuta mio padre nel suo lavoro». Il circo mediatico non ha mai travolto la ragazzina di periferia. Oggi affronta le relazioni pubbliche con impegno. «Incontro miliardi di persone tutti i giorni, chiacchiero con tutti. È importante lo scambio con chi ti viene a vedere, ti sostiene. Ma quando penso a me in un altro modo, sento il bisogno di suoni che non hanno la frequenza della voce umana».
Anche se la montagna, spiega, non è solo solitudine. «C’è scambio e aiuto, condivisione. La vita della città resta fuori. Il set dell’ultimo film dei Vanzina, Mai Stati Uniti, girato in Usa, è diventato l’occasione per esplorare on the road il paesaggio americano. Wyoming, Utah, Monument Valley e il Grand Canyon, le riserve indiane. «Sono stata ovunque. Con l’aiuto del mio truccatore e amico Ermanno ho organizzato pulmini con i colleghi, affittato guide, guadato fiumi, scalato pareti». Tra i momenti indimenticabili, «quando ti spingi sulle rocce dentro il canyon e t’investe un vento forte e velocissimo. Si ferma tutto. Mi sono immersa in corsi d’acqua che si potevano attraversare camminando per una settimana di fila. Ogni scorcio era un paesaggio, le pareti erano argento ». Le scarpe che ha usato, ora sono in una scatola. «Le conservo per ricordare quel momento. Quando le guardo penso alla prossima volta».