Marco Imarisio, Corriere della Sera 02/02/2013, 2 febbraio 2013
LA CATENA DEGLI ALLARMI E QUEL «BUCO» DI 12 ORE —
Simonetta e Mariangela vanno svelte. Ogni tanto allungano la falcata. Quando chiude la tabaccheria per il pranzo, Sabrina fa il verso della moto e deve correre per raggiungere le sue amiche. «Tranquilla» le urlano mentre insegue «che tanto ripassiamo».
Le persone che attraversano piazza Umberto I seguono un’invisibile linea tracciata nel punto più lontano dai palazzi che incombono. Hanno la sfortuna di essere tra i pochi costretti a lavorare oggi. Così camminano avanti e indietro, il più veloce possibile, e intanto mangiano, sembrano penitenti costretti dalla paura a una surreale punizione. Ancora più sopra, superata la Rocca ariostea orgoglio di questo paesino capitale della Garfagnana più industriale e meno turistica, non c’è nessuno. Il centro storico è deserto. Il municipio pare abbandonato: portone aperto, ma non c’è anima viva. L’unico avamposto che ha resistito alla paura è il bar Costanza, tre tavolini, due ragazzi dietro al banco e dall’altra parte gente che racconta una storia comune. Quando è arrivato l’allarme, Sara Esposti è andata al centro commerciale di Fornaci sopra, dove fa la commessa. «Ho guadagnato tempo». Fernanda Salvetti è andata a Pontedera dalla zia, proprio come nel 1985, quando il ministro Zamberletti diede l’allarme, arrivò l’esercito da Roma per prepararsi al terremoto e invece non accadde nulla.
Anche la scorsa notte è andata bene, ma l’esodo di 2.500 persone è stato più affannoso, gestito in completa autarchia, per una ragione semplice: se era vero quel che c’era scritto sul fax, il tempo bastava appena per scappare. Le polemiche sulla loro sorte, su quel che hanno passato non arrivano in questo paese al fondo della Valle del Serchio, una gola tra Alpi apuane e Appennino tosco emiliano. Come se i blocchi di granito all’orizzonte impedissero alle voci di filtrare in un angolo d’Italia isolato. «Il sindaco ha fatto bene a cavarci fuori di casa». «Meglio evacuati che morti». «Vivendo qui è da fessi non avere la valigia fatta sotto al letto».
Il disagio di una notte fuori casa è poca cosa, se vivi in una zona tra le più sismiche d’Italia, se la settimana scorsa la terra ha tremato forte. La scelta del sindaco di evacuare riscuote l’approvazione dei suoi compaesani, e non solo perché Gaddo Gaddi è anche il medico condotto di quasi tutti i 5 mila abitanti. «Non ha sbagliato nessuno: è andata bene, ma abbiamo fatto all’italiana». L’espressione si fa sorniona. Dire e non dire. La riunione del prefetto Franco Gabrielli con i sindaci della zona e il presidente della Provincia si è svolta a porte chiuse: troppi dettagli da sistemare per raggiungere una quadratura del cerchio che si presentava complicata, giustificare un esodo notturno in base a un allarme arrivato di prima mattina.
«Dopo giorni di lenta decrescita della sismicità la scossa di magnitudo 3.3 della notte scorsa segna un punto di svolta della sequenza... nelle prossime ore potrebbero avvenire altre scosse in prossimità dell’abitato di Castelnuovo in Garfagnana e dell’epicentro del terremoto del 23 gennaio 1985». Il fax spedito alle 7.45 dall’Istituto nazionale di Geofisica e Vulcanologia viene protocollato dalla Protezione civile di Roma alle 9 in punto. Alle 19.30, dodici ore dopo, il contenuto del fax viene «girato» alla Regione Toscana con testo firmato da Gabrielli, capo Dipartimento: «Nelle prossime ore potrebbero avvenire altre scosse». A quel punto l’informazione va a cascata, dalla provincia di Lucca e più giù, «per opportuna conoscenza» a tutti i comuni del territorio. A Castelnuovo, sede del presunto epicentro, l’invito alla fuga viene fatto in ogni modo, via Twitter, Facebook e con il porta a porta dei sei assessori, una contrada ciascuno. Tutti al centro di accoglienza del Palasport, o in auto, dove volete voi ma fuori di casa, «che sta arrivando», urlavano i messaggeri di sventura. La beffa è giunta a cose fatte, con un nuovo fax dell’Istituto che pare scritto in aramaico per quanto è tecnico, e pensato in bizantino per quanto profuma di toppa notturna al putiferio.
Hanno tutti ragione. E tutti torto. Per questo è durato tanto l’incontro tra le persone che si sono passate di mano quel fax e le responsabilità che comportava. Poi, fuori dal centro della Protezione civile in frazione Pieve Fosciana, l’imbarazzo si tagliava con il coltello. Gabrielli ha dovuto spiegare la lunga sosta del fax. «Abbiamo tergiversato» è stata l’onesta assunzione di responsabilità. La valutazione di quel che significava il fax è durata molto, forse troppo. «Ma significa che non abbiamo scaricato la responsabilità sui sindaci. È il contrario. Se avessimo voluto fare lo scaricabarile non avremmo neppure fatto toccare la scrivania al fax». I sindaci in questione sono l’ultimo anello della catena, e forse hanno reagito con troppa veemenza, come dice qualche volontario di Castelnuovo e dintorni, scatenando un fuggi fuggi che Gabrielli nega di aver consigliato a chicchessia. «Comunque lì sopra c’era scritto "nelle prossime ore"...» dice Stefano Baccelli, presidente della Provincia. «Cosa dovevano fare i sindaci, che sono gli ultimi responsabili di Protezione civile? Qualcuno deve aiutarci a capire le note tecniche. Mica siamo sismologi o geologi, noi». All’uscita ecco di nuovo il sindaco di Castelnuovo: «La sentenza dell’Aquila ormai condiziona tutta la catena di comando». Accanto a lui una volontaria in tuta arancione ripete che la colpa è una bella donna che nessuno vuole. Nel tardo pomeriggio Castelnuovo si rianima. Ragazzi assonnati mandano sms sdraiati sulle scale del Duomo. Quelli del bar Costanza hanno un dubbio: «Ci dicono che possiamo dormire a casa. Ma oggi non è uguale a ieri? E domani che si fa?». Entra Sara, che ha finito il turno alla cassa del supermercato. Il banco alimentari si è svuotato in un amen. La paura di Castelnuovo si misura con le scorte di pane, prosciutto e formaggio. Da mangiare in fretta, al centro della piazza.
Marco Imarisio