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 2013  febbraio 02 Sabato calendario

ACCORDO IN FRANCIA, GOOGLE PAGA I GIORNALI —

Dopo tre mesi di negoziati la Francia e Google hanno concluso un accordo che riconosce agli editori della stampa francese il diritto di essere pagati per i contenuti indicizzati dal motore di ricerca.
Seduto alla scrivania dell’Eliseo come un capo di Stato, il presidente di Google Eric Schmidt ha firmato l’intesa accanto al presidente della Repubblica francese François Hollande, ieri sera, davanti ai fotografi: il colosso di Mountain View si impegna a versare 60 milioni l’anno a un fondo che finanzierà progetti in grado di aiutare la transizione della stampa verso il digitale; seconda e non meno importante parte dell’accordo, Google diventa il partner privilegiato degli editori tradizionali per il loro passaggio all’online, fornendo «strumenti tecnici, ingegneri e competenza» soprattutto nel campo della raccolta pubblicitaria.
Hollande e Schmidt hanno usato entrambi toni solenni. «Si tratta di un avvenimento di portata mondiale — ha detto il presidente francese dopo la firma —. È un bene per la stampa, per gli utenti di Internet, per Google. La Francia è fiera di avere promosso un accordo senza precedenti». Secondo il presidente di Google la firma è un «passo storico nell’interesse del popolo francese».
In concreto, per un periodo da tre a cinque anni Google stanzierà 60 milioni l’anno in un «Digital Publishing Innovation Fund» che sarà gestito da un consiglio di amministrazione formato tra gli altri da Carlo d’Asaro Biondo (Google), Nathalie Collin (presidente degli editori e direttrice del Nouvel Observateur) e forse Marc Schwartz, il mediatore (nominato da Hollande a novembre) che ha permesso l’accordo.
Il fondo valuterà i progetti giudicati «innovativi» che saranno di volta in volta presentati da quotidiani nazionali e regionali, settimanali e pure players (i giornali nati online come Mediapart, Slate, Rue89 e Atlantico), a condizione che si occupino di informazione. Sono escluse dall’accordo le testate di «divertimento» (sarà interessante osservare come verrà fatta la distinzione, ndr). E quando, entro cinque anni, i soldi saranno finiti? «Ci ritroveremo qui per un’altra conferenza stampa con il presidente di Google» ha detto con una battuta Hollande.
Ma al di là dei 60 milioni, che non sono poi una cifra enorme per un’azienda che solo nel 2012 ha fatturato 50 miliardi di dollari, il mediatore Marc Schwartz sottolinea che viene inaugurata «una vera cooperazione, una partnership tra gli editori e Google». In sostanza la stampa francese — soprattutto quella tradizionale — accetta di farsi insegnare da Google come raccogliere pubblicità nella speranza di non perdere troppi soldi nella transizione al digitale; e Google sembra disposto a offrire agli editori la canna da pesca (cioè la consulenza) oltre che il pesce non certo enorme (i 60 milioni). In ogni caso, ieri all’Eliseo è stato accolto il principio che gli editori e lo Stato francese sostenevano dallo scorso settembre, e cioè che Google deve offrire un corrispettivo per i contenuti indicizzati nel proprio sito generale e in particolare nella sezione «News»: se un utente cerca notizie sulla guerra in Mali e Google gli offre decine di link a articoli di Le Monde, Figaro, Libération, Mediapart eccetera, è giusto che quei giornali vengano pagati, visto che alimentano un traffico che Google usa per vendere pubblicità.
Per Hollande si tratta di un indubbio successo, almeno di immagine, visto che si era molto esposto per arrivare a un accordo: nei mesi scorsi, di fronte all’iniziale rifiuto di Google, il presidente e la ministra della Cultura Aurélie Filippetti avevano minacciato di ricorrere a una legge e a una nuova tasse se Google non avesse accettato un’intesa entro il 31 gennaio. Di fronte all’alternativa — cedere con le buone o con le cattive —, il giorno successivo allo scadere dell’ultimatum Schmidt ha preferito giocare la parte del salvatore della stampa tradizionale, e Hollande può evitare così di imporre un’ennesima imposta.
Resta aperta la più ampia questione fiscale che riguarda tutti i grandi operatori anglosassoni (come Amazon o Apple) ma, soprattutto, sarà interessante vedere se e come il precedente francese troverà applicazione in Germania e Italia: il 25 ottobre scorso a Roma gli editori francesi, tedeschi e italiani avevano sottoscritto un appello comune ai rispettivi governi per «una adeguata remunerazione dello sfruttamento delle opere editoriali». La Francia si è mossa per prima.
Stefano Montefiori