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 2013  febbraio 02 Sabato calendario

L’ECONOMIA FRANCESE S’È FERMATA


Sembra che, incontrando domani Mario Monti all’Eliseo, il presidente François Hollande voglia informarsi sull’esito e la dinamica delle riforme per dare competitività all’economia italiana. L’ultima volta gli è andata male. Ha sollecitato da Monti spiegazioni sulla politica italiana e pare che il suo interlocutore abbia aperto le braccia, dicendo che quella materia è ostica anche a lui.
Di paragone con l’Italia e con gli altri paesi europei parla invece l’economista di area liberale Nicolas Baverez, celebre per aver lanciato nel 2003 il dibattito sul «declino», pubblicando il libro La France qui tombe (La Francia che cade). In quel momento Baverez vedeva con interesse l’ascesa di Sarkozy. Nel 2007 Sarkozy è entrato all’Eliseo con un programma di riforme anti-declino. L’anno scorso ne è uscito e, secondo un delusissimo Baverez, la Francia non smette di «declinare».
Con un dettaglio non trascurabile: il debito pubblico, che dieci anni fa si attestava al 60% del prodotto interno lordo, arriva adesso al 90%. Negli ultimi dieci anni il tasso di indebitamento delle finanze pubbliche francesi è aumentato a un ritmo molto più elevato di quanto sia accaduto in Italia nello stesso periodo.
Di situazione molto critica parla anche Daniel Cohen, il principale economista della sinistra transalpina, consigliere del presidente Hollande. «Calcolando l’insieme degli ultimi cinque anni, la Francia non è cresciuta in termini economici e, calcolando l’insieme addirittura degli ultimi dieci anni, la Francia non è cresciuta nel campo specifico dell’industria: questa doppia stagnazione indica il bisogno di agire concretamente per il rilancio del paese», è il succo del pensiero di Cohen.
La disoccupazione supera ormai il 10% della popolazione attiva ma, per Cohen così come per Baverez, la ripresa della crescita economica è l’elemento chiave della lotta alla disoccupazione. Solo che quella ripresa, purtroppo, non si vede.
La concorrenza internazionale è durissima: quella dei paesi a basso costo della manodopera, ma anche quella degli Stati europei che stanno cercando di riformare la propria economia e il proprio mercato del lavoro. È dunque Baverez a insistere, negli incontri che ha in questo periodo con i giornalisti, su un elemento per lui fondamentale: «La Francia è schiacciata in Europa occidentale tra i paesi settentrionali, come la Germania, che hanno fatto riforme già da tempo, e quelli meridionali (Italia, Spagna e Portogallo) che le stanno facendo adesso sotto l’impulso della crisi».
Nella lettura del «cervello economico» della destra francese, la Francia deve dunque darsi una mossa per non essere in difficoltà sulle Alpi e sui Pirenei, oltre che sul Reno. Baverez sottolinea il nodo fondamentale del costo del lavoro e dice: «Noi siamo in difficoltà nell’attuale sfida europea, visto che un’ora di lavoro costa oggi 34 euro in Francia, 30 in Germania, 26 in Italia e appena 20 in Spagna e Gran Bretagna». Secondo Baverez, c’è il rischio che le cose in Francia si sviluppino nel senso contrario a quello che sarebbe opportuno: non flessibilità, come sarebbe necessario, ma nuove forme di rigidità. Lo dimostrano, a suo avviso, le manifestazioni svoltesi questa settimana a Parigi e in altre città contro i licenziamenti borsistici, ossia contro le ristrutturazioni industriali.
La situazione è paradossale: quando, come nel caso del gruppo automobilistico Psa (Peugeot-Citroën), i licenziamenti avvengono tardi, l’azienda viene accusata di non aver ristrutturato per tempo, mentre, quando si realizzano le opportune trasformazioni senza licenziare (come nel caso dell’attuale progetto annunciato da Renault), l’azienda viene accusata di ricattare i lavoratori con lo spettro di eventuali licenziamenti. Insomma, non va mai bene.
Oggi il sindacalismo francese è debole e rigido. Forse è rigido proprio perché debole. L’influenza della confederazione Cgt (vicinissima al Partito comunista, che si oppone a Hollande e al suo governo) si traduce in una sistematica radicalizzazione di ogni vertenza sociale. Hollande cerca il dialogo, ma si scontra con questo atteggiamento della Cgt (una sorta di Cgil francese) che strumentalizza la crisi per lanciare parole d’ordine al tempo stesso radicali e demagogiche, rifiutando ogni compromesso. «Parlare di licenziamenti borsistici non ha alcun senso, visto che questo concetto è impossibile da definire giuridicamente», conclude Baverez. «L’importante è rendere più competitivi i prodotti francesi ». Ma alla Cgt interessa soprattutto versare benzina sul fuoco delle tensioni sociali, che cominciano a crescere in modo pericoloso per François Hollande. Il presidente parla di «competitività» e la Cgt gli risponde con le manifestazioni, le occupazioni e i blocchi stradali.
Il vero test per l’avvenire è la ristrutturazione di Renault. Se ci sarà un accordo per la riduzione (senza licenziamenti) dei posti di lavoro, il gruppo automobilistico, in cui lo Stato continua ad avere una partecipazione del 15% e di cui rimane il principale azionista, eviterà tensioni più gravi. Altrimenti ci sarà una vera e propria guerra sociale e a lungo termine non si potranno escludere i licenziamenti e, forse, persino la chiusura di centri produttivi. Un tempo Renault, che apparteneva completamente allo Stato, aveva in Francia centinaia di migliaia di dipendenti. Oggi i suoi salariati sul territorio nazionale sono appena 56 mila, che scenderanno a circa 47 mila con la ristrutturazione. In tempi di crisi, i francesi comprano le più economiche auto sfornate (grazie a Renault) da Dacia, la società rumena che proprio Renault acquistò nel 1998 dopo essersi fatta soffiare Skoda da Volkswagen.