Domenico Quirico, La Stampa 3/2/2013, 3 febbraio 2013
UN RIFUGIO PER I BRACCATI DALLA STORIA
Vi è un tempo nella vita di ognuno in cui il mistero e la salvezza appaiono raggiungibili al cuore solo nello spazio, solo nei nomi strani della carta geografica, e in cui tutto ciò che è oscuro e sconosciuto e diverso ha una potente attrazione. Quel tempo è dunque venuto per Daniele Mancuso, laureando in ingegneria, sparito dalla sua vita normale, a Torino, per ricomparire oltre frontiera, come aspirante recluta della Legione straniera. La Legione, gli «uomini senza nome»: una storia fatta da fanti che sono andati, generazione dopo generazione, a stendere le proprie carcasse sui fili di ferro spinato come cenci ad asciugare, a Camerone, in Africa, nelle trincee della Somme, in Indocina. Non per la Francia che li sbuccia, li spreme e li butta via. Gente che si batte per niente, e quindi per tutto. Si batte senza odio, perché l’odio presuppone una convinzione. Una fede politica o morale che i legionari non possono avere. La loro bandiera è la fraternità: quella che nasce dal comune destino di sopravvivere e di morire.
La voglia di fuggire. È un avvenimento bizzarro come la fantasia, simile a una febbre i cui germi sono portati da lontano, prende possesso della nostra vita e si insedia in essa sempre più profondamente e ardentemente. Daniele non è il primo: alla fine, soltanto l’immaginazione pare l’unica realtà; e la vita di tutti i giorni, le lezioni la tesi le telefonate a casa a Marsala, come un sogno, nel quale ci muoviamo svogliati come un attore sconnesso dal suo ruolo. È allora il momento in cui il disgusto la noia lo spleen fanno appello alla ragione, sì alla ragione, e le chiedono di cercare una via di uscita.
Sul fascino della Legione sono stese troppe parole: per lo più di cattiva letteratura. L’esotismo, l’avventura... Semmai, più spesso, un rifugio per gli sbandati, i dolenti, i braccati dalla Storia. I ruoli della Legione sono le faglie geologiche delle tragedie del secolo: i tedeschi che la affollarono dopo la seconda guerra mondiale, i russi i balcanici i maghrebini gli africani. Sì, in fondo solo la più banale follia che emana da un mondo chiuso di uomini che combattono, un mondo che è al tempo stesso rigidamente regolato dalla disciplina e nello stesso tempo senza legge.
Ernst Junger, prima di affrontare le ben più orribili tempeste di acciaio, provò l’arruolamento. Sintetizzava tutto questo nel piacere sognato di vivere «arbitrariamente». Con la legione si entra, fatalmente, nel cerchio della guerra, il vecchio moloch nascosto sotto nomi sempre nuovi: bisogna ricominciare da capo a imparare il mondo, si scopre che le parole non si appropriano alle cose e la vita è diversa da quella che i vocaboli indicano e che la consuetudine giornaliera ha dato a credere. Si comincia a pensare, per la prima volta.
Junger restò tre settimane nella Legione. Per scoprire che nessuno può vivere arbitrariamente.