Marco Imarisio, Corriere della Sera 03/02/2013, 3 febbraio 2013
«COSI’ MI DIEDERO IL TRONO DI ANTONVENETA. IO AMICO DI VERDINI? LUI MI ODIAVA» —
«Senza l’ombra di Denis Verdini adesso sarei solo quel che ho sempre voluto essere. Un professore stimato dai suoi allievi e dai colleghi».
Una bella casa con vista su palazzo Tolomei e sui tetti del centro storico. Fuori, il primo buio di un pomeriggio piovoso. Dentro, su un divano chiaro, Andrea Pisaneschi con faccia e umore ancora più scuri del cielo di Siena. Il suo nome ricorre sempre più spesso in questa storia. Docente ordinario di diritto costituzionale all’università locale dopo una cattedra a Venezia. Indagato a Firenze con l’accusa di aver mascherato in modo illecito alcune operazioni finanziarie del Credito cooperativo, la banca del succitato Verdini. Quel che più conta, Pisaneschi ha fatto parte del Consiglio di amministrazione di Monte dei Paschi dal 2003 al 2008, e nei tre anni seguenti è stato il primo presidente della banca Antonveneta appena acquistata da Mps. I magistrati vogliono capire se quella nomina sia stata il frutto di un accordo politico all’interno del Cda senese. Alto, magro, 53 anni. Jeans azzurro, pullover azzurro, occhi azzurri. Parla piano, senza nascondere disagio e preoccupazione per una notorietà non richiesta, da lui ritenuta anche ingiusta. La sua versione dei fatti, per la prima volta.
Cominciamo da quell’ombra?
«Non sono mai stato iscritto a Forza Italia, tanto meno al Pdl. Sono una persona indipendente. Verdini lo avrò incontrato tre o quattro volte in vita mia».
Ha aiutato l’imprenditore Riccardo Fusi, anima gemella di Verdini, a ottenere un finanziamento da Mps?
«È la tesi della procura di Firenze, che rispetto. Ma non mi sono mai adoperato per questo. Fusi mi chiamò alcune volte. È un cliente abituale di mio fratello, che fa l’avvocato. Mi limitai a dargli informazioni pratiche su come ottenere quel prestito».
Mussari?
«Avevo stima per lui. Lo consideravo una persona brillante, capace e intelligente».
Come è possibile che un manager con quelle qualità decida di strapagare Antonveneta?
«Il prezzo era quello indicato dagli advisor. In Cda ci venne detto che era addirittura inferiore al valore degli sportelli della banca, in base alle ultime transazioni che si erano verificate».
Un affarone.
«Adesso l’ironia viene facile. Nel 2007 Antonveneta avrebbe coperto un’area che mancava a Mps. Erano gli anni delle grandi aggregazioni bancarie. Il mercato andava bene».
In Consiglio di amministrazione nessuno disse nulla?
«Lo sforzo economico maggiore ricadeva sulle spalle degli azionisti, che volevano a ogni costo quell’operazione. Difficile andarci contro. Votammo tutti a favore».
Accettaste senza battere ciglio anche la follia di un pagamento cash al venditore, il Banco di Santander, invece di un normale concambio di azioni?
«Ci venne detto che Santander vendeva solo dietro pagamento in contante: quello era l’unico modo di acquistare Antonveneta. Inoltre fummo sollecitati a fare in fretta: i tempi erano stretti perché in parallelo al nostro Cda c’era quello di Santander che doveva decidere sull’operazione».
Chi disse, e chi sollecitò?
«Mussari».
Lei era d’accordo su tutto?
«Ora non posso dire che avevo dei dubbi. Non sarebbe corretto. Votammo a favore, questo è tutto. Certo, oggi quell’operazione si è rivelata un fallimento».
In quel 2008 a voi del Cda come viene presentato il prestito Fresh da un miliardo stipulato con Jp Morgan?
«Mussari ce ne parlò come di un prestito subordinato, negoziato con la banca d’affari americana e Bankitalia: entrambi, disse, lo consideravano conveniente e regolare dal punto di vista dei controlli della Vigilanza».
La genesi della sua presidenza di Antonveneta?
«In sincera verità: è dovuta al fatto che in quel Cda ero l’unico membro a non avere una connotazione politica».
Si rende conto che non è facile crederle?
«Invece è così. Non avevo colore politico né interessi economici in gioco, avevo insegnato per tre anni a Venezia, quindi potevo vantare una conoscenza del territorio. Fu Mussari a chiamarmi. Ricordo che mi disse qualcosa sulla mia capacità di parlare in pubblico. Tra i membri del Cda mi considerava il più attrezzato per quell’incarico».
È consapevole del fatto che oggi la sua nomina viene considerata come frutto di un patto politico?
«L’ombra di Verdini. Essere considerato il "suo" uomo mi ferisce. Non credo di meritarmi questo. Non è vero che sono stato costretto a dimettermi da Antonveneta. Nel 2011 ho semplicemente esaurito il mio mandato».
Quando lei entrò nel Cda del Monte com’erano i suoi rapporti con lui?
«Non mi sopportava. Non ero parte del suo entourage. Fece fuoco e fiamme contro la mia nomina nel Cda».
Da allora sono migliorati?
«Ho fatto buon viso a cattivo gioco. Ho cercato di mantenere un minimo di rapporto con lui».
Rimpianti?
«Il Cda di Monte dei Paschi era un punto d’arrivo. Volevo contribuire a fare qualcosa di buono per la mia città».
C’è qualcosa che si rimprovera?
«Sono sempre stato contrario al mantenimento del 51 per cento delle azioni Mps da parte della Fondazione. Ho cercato di cambiare questa anomalia terribile che è alla base di ogni nostra disgrazia. Non ci sono riuscito».
Marco Imarisio