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 2013  febbraio 03 Domenica calendario

QUEL CRITICO CONTROVERSO BANDITO DALLA SCALA


Il caso, presto detto «il bubbone», o «la gatta da pelare» dai melomani milanesi turbati nella quiete del loro sabato mattina, viene reso pubblico ieri da un corsivo di trenta righe sul Corriere . Siglato da f. de b., cioè dal direttore: vi si legge che «Paolo Isotta, critico musicale del Corriere della Sera, è stato bandito dalla Scala. Non vi potrà più entrare. Decisione del sovrintendente dopo un articolo non proprio benevolo nei confronti di Daniel Harding e, indirettamente, di Claudio Abbado». Prosegue Ferruccio de Bortoli: «Chi scrive, al contrario del suo critico, ama entrambi i direttori d’orchestra, l’allievo e il maestro, ma ha sempre ritenuto e ritiene che la libertà di critica sia sacra purché non scada mai nei toni e nei contenuti». Racconta poi di come, già il 18 ottobre 2011, Stéphane Lissner avesse chiesto «con arroganza» la testa di Isotta. E conclude che «non la ebbe e non l’avrà nemmeno questa volta». Isotta, già arrivato da Napoli in un albergo milanese, nella giornata di venerdì avrebbe chiesto il biglietto per la prima del Nabucco della sera e sarebbe stato respinto «perché era troppo tardi e non c’era più posto». Ma la tempesta tra il Piermarini e il primo quotidiano della città covava da tempo: e l’articolo «non proprio benevolo», cioè la recensione al concerto della Filarmonica di lunedì scorso, dove si legge che «Daniel Harding ha una precisa tecnica direttoriale, a differenza del celebre suo mentore, non Simon Rattle, dico, ma Claudio Abbado, onde è un vero direttore, magari un cattivo direttore ma un vero direttore», non è stata che l’ultima pietruzza.

Accadde, in un ambito molto diverso, ad alcune croniste di moda, escluse dalla sfilata di Giorgio Armani. Successe anche a quella giornalista che criticò la collezione dello stilista Cavalli e ne ricevette, insieme, un fascio di rose straordinariamente spinose e l’esclusione da quella passerella. E non si contano i casi in cui le società sportive, in urto con i giornalisti, vietarono l’ingresso agli allenamenti, senza però mai arrivare al punto di impedire quello allo stadio. Ma la vicenda scaligera è più ingarbugliata di quanto si possa credere, e squisitamente politica, visto che a scontrarsi sono due istituzioni magne della città, per tradizione legate da rapporti di civile collaborazione e invece in rotta almeno dallo scorso novembre, quando proprio da via Solferino partì la polemica Verdi-Wagner, cioè sul Sant’Ambroeus col Lohengrin e non, poniamo, con l’ Otello .

Resta l’interrogativo: è lecito dare l’ostracismo a un critico, per quanto scomodo? E intemperante al punto, per esempio di pigliare a schiaffi un anziano collega dell’Unità nel foyer, di sancire la prima del Prometeo di Luigi Nono con la frase «Signori, la musica è finita», di battezzare Luciano Pavarotti come «analfabeta musicale» e, più recentemente, di bollare la regìa del Lohengrin come «tetra e cretina»?

Walter Vergnano, sovrintendente del Regio di Torino, si dice «basito. Stimo moltissimo Stéphane Lissner e credo di essere tra i pochi sovrintendenti italiani a riconoscere fino in fondo il valore sovranazionale della Scala. Aggiungo pure che, per dare un giudizio completo, bisognerebbe leggere quella famosa lettera dell’ottobre 2011. Ma resto volterriano nel midollo: occorre battersi perché chi la pensa in modo opposto al nostro possa esprimere la propria opinione. Altrimenti si fa un cattivo servizio all’istituzione e alla cultura».

Anche per il violoncellista Mario Brunello «la porta non va chiusa proprio a nessuno. Sono in Svizzera, non leggo i giornali e della querelle non so nulla. Se quella di Isotta sia una campagna preordinata è materia soltanto per la sua buona coscienza, ma da cittadino prima che da musicista affermo che le differenze di opinioni vanno sempre accolte».

Dalla Scala sta partendo una lettera al direttore del Corriere in cui si definisce la scelta del teatro come una difesa nei confronti dei propri artisti, svillaneggiati sul piano personale non in nome della libertà di critica ma della tutela di poteri forti. E intanto un gruppo di spettatori scaligeri appassionati ha organizzato ieri sera una raccolta di firme pro-Lissner, facendo leva proprio su quella frase di de Bortoli sui «toni» e i «contenuti», secondo loro superati di molte lunghezze.

Marco Vizzardelli, animatore della «Voce del loggione»: «Altro che censura, qui a essere offesa è stata casomai, per tanto tempo, la capacità critica del pubblico: dire che Abbado non è un direttore? Che Pierre Boulez dirige “con gesto legnoso da marionetta”? Quella di Lissner è forse una mossa esasperata, ma quando è troppo è troppo».

La polemica appassiona, trabocca su Twitter, fa discutere la città. È sanguinosa ma non inutile, visto che ne sta emergendo un’affermazione di grande buon senso: si è recensori liberi, ma liberi veramente, se i biglietti d’ingresso non sono una gentile concessione dei teatri ma vengono pagati dal giornale. Com’è imposto, del resto, dai codici deontologici dei grandi quotidiani anglosassoni.