Nicola Borzi, Giuseppe Oddo, Il Sole 24 Ore 3/2/2013, 3 febbraio 2013
L’EFFETTO LEHMAN SU FONDAZIONE MPS
Fondazione Mps sconta un «peccato originale» del 2003: sono i derivati che, per la prima volta in quell’anno, stipulò in piena presidenza Mussari. Si tratta di due operazioni di Total rate of return (Tror) swap, per un nozionale di 343 milioni: uno con Credit Suisse, l’altro con Lehman Brothers International Europe (Lbie), braccio europeo di finanza strutturata della banca Usa. I Tror, emessi sul sottostante di 210 milioni di Fresh di Mps (titoli ibridi irredimibili convertibili in azioni Mps emessi per 289,8 milioni), prevedevano lo scambio periodico di interessi tra Fondazione Mps e controparti: la prima pagava a Lb e Cs l’Euribor a tre mesi; queste retrocedevano alla Fondazione la cedola del Fresh, pari all’Euribor a tre mesi più 88 punti base. Il pagamento da parte di Lb e Cs era condizionato al pagamento della cedola sul Fresh da parte di Banca Mps. Nel 2011 la Fondazione avrebbe potuto chiudere il contratto con la consegna fisica dei titoli, al nominale, o per cassa, incassando o pagando la differenza fra nominale e fair value del titolo.
Perché la Fondazione sottoscrisse i Tror? Secondo alcune fonti, per fronteggiare lo sbandamento del valore di carico della partecipazione nella banca. In piena bolla dotcom, l’azione Mps il 6 settembre 2000 era al massimo storico di 5,3 euro (valore rivisto solo il 21 maggio 2007), ma il 9 ottobre 2002 era a 1,77 euro, come poi ancora a marzo 2003. Ma non fu solo il crollo di Borsa a impensierire la Fondazione. Nel 2001 Banca Mps aveva segnato un utile ante imposte di 960 milioni, nel 2002 di 613; l’utile netto 2001 era di 730 milioni, 599 nel 2002. I dividendi erano scesi da 278 milioni a 218. Cos’era successo? Il 23 dicembre 2002 Banca 121 era stata incorporata in Mps. L’operazione fece emergere una riduzione del patrimonio di vigilanza di Banca Mps per 400 milioni. L’ex Banca del Salento a febbraio 2000 era stata pagata 1,26 miliardi di euro (800 milioni cash, il resto in azioni). A fine 2006 ne emersero partite dubbie e contenziosi legali costati a Mps oneri aggiuntivi per 500 milioni: Banca 121 piazzava My Way e 4 You, presentati come piani di accumulo mentre erano mutui che fecero perdere circa 2 miliardi di euro a 170mila risparmiatori.
Eppure Mps mutuò dall’acquisita Salento il top management: l’ad Vincenzo de Bustis, che chiamò a Siena Gianluca Baldassarri dalla Bna. Per garantirsi sul rischio di oscillazione del prezzo del 3% detenuto in Intesa Sanpaolo, fu quel management a far stipulare a Mps un equity collar con Deutsche Bank alla cui guida sarebbe poi andato proprio de Bustis. Il derivato, se esplicitato, avrebbe mostrato una perdita di 367 milioni e la sua ristrutturazione (sempre con Db), nel 2008, innescò l’operazione Santorini.
Al default di Lehman Brothers, il 15 settembre 2008, la Fondazione Mps perse i flussi cedolari del Tror 2003 e 53,9 milioni di titoli di Stato (CcT), pari al collaterale del derivato. Nel 2011 recuperò 23,2 milioni cedendo a terzi il credito vantato sulla liquidazione di Lehman. Intanto Lbie, a poche settimane dal default della casa madre, fu acquisita da Nomura, strutturatrice di altre operazioni per Banca Mps, all’epoca passata sotto la presidenza Mussari. A dicembre 2011 la Fondazione chiuse la vicenda Fresh 2003 convertendolo in azioni, con una perdita di circa l’83%, e accantonando a fondo rischi 380,5 milioni di minusvalenze su strumenti derivati. Contattata al proposito, la Fondazione Mps non ha risposto.
LE TRE «SPINE» DEL MONTEPASCHI –
SIENA. Dal nostro inviato
«Penso si debba indagare su tre filoni: gestione del personale, gestione dei crediti e gestione degli immobili». Pierluigi Piccini è stato sindaco di Siena per quasi undici anni, fino al maggio 2001, e sul Monte dei Paschi ha la memoria lunga. Dice: «La Procura, cui si dovrebbero concedere più mezzi per permetterle di sviluppare le indagini, dovrebbe ascoltare coloro che sono stati a capo di questi settori». Nel 2004 i Democratici di sinistra (poi confluiti nel Pd) hanno espulso Piccini dal partito: «Non ero ritenuto affidabile». Da allora ha cominciato a disamorarsi della politica. A fine 2012 ha anche ricevuto il benservito dalla banca, dove aveva prestato servizio per 36 anni. È uscito con altri 105 dirigenti per il piano di riduzione del personale predisposto da Alessandro Profumo e Fabrizio Viola, il nuovo vertice di Rocca Salimbeni: traumatico cambiamento di rotta per una città i cui abitanti sono per la maggior parte dipendenti, pensionati o in qualche modo beneficiati dal Monte. Oggi a 60 anni ha deciso di prendere una seconda laurea, in teologia, per completare gli studi in filosofia. Ma non ha affatto l’aria dell’asceta.
Gli chiediamo perché bisognerebbe indagare su quei tre fronti. Risponde: «Perché va ricostituito il clima di fiducia nei confronti dei cittadini, dei clienti e degli impiegati della banca». Di più non gli si riesce a scucire. Di certo c’è che pochi mesi fa Viola ha costretto a dimettersi dalla banca il vicedirettore generale vicario, Fabrizio Rossi, che ricopriva il ruolo di capo del personale, e che in precedenza aveva spinto fuori il direttore centrale del l’area finanza, Gianluca Baldassarri, manager vicino all’ex presidente Giuseppe Mussari e all’ex sindaco Francesco Ceccuzzi. Nell’erogazione del credito si chiacchiera dell’affidamento concesso dal Monte ad aziende come il Pastificio Amato, sulla cui bancarotta ha indagato la Procura di Salerno. E sugli immobili grava l’interrogativo della cessione dei beni strumentali che ospitano le filiali della banca, poi ripresi in affitto con contratti di lungo termine. Piccini rivela, a distanza di molti anni, i particolari dell’acquisizione della Banca del Salento: operazione che ha rappresentato lo spartiacque tra la prudenza gestionale di un tempo, quando la banca aveva un patrimonio che sembrava inattaccabile, e lo scialo di risorse degli anni successivi. Racconta: «L’operazione fu suggerita da Nerio Nesi, il quale era amico dell’azionista di maggioranza, la famiglia Semeraro. La vicenda fu gestita dall’allora presidente, Pierluigi Fabrizi, e dal vicepresidente Stefano Bellaveglia, che era punto di riferimento della federazione del Pds senese nella banca e aveva i collegamenti col partito a Roma. Fu fatta una due diligence firmata da Antonio Vigni, che poi divenne direttore generale, e che fu avvalorata dalla società di revisione Kpmg. Il prezzo di acquisto lievitò per la concorrenza del Sanpaolo-Imi. Alla fine il Monte sborsò 2.500 miliardi di lire, di cui il 50% in contanti e il 50% in titoli. Ma l’operazione si perfezionò e si chiuse solo nel 2005». In realtà Siena fu costretta a investire almeno altri mille miliardi di lire nella Banca del Salento.
Nel frattempo il cattolico Divo Gronchi, al quale era stata promessa invano la nomina ad amministratore delegato, è indotto a lasciare la direzione generale di Rocca Salimbeni. Gli subentra Vincenzo De Bustis, uomo gradito a Massimo D’Alema. È da lì che prende le mosse il processo di fidelizzazione e di laicizzazione del management al Pd. Il processo sfocerà anni dopo nell’ascesa di Mussari. È il periodo in cui tra i consulenti legali del Monte ritroviamo lo studio dell’avvocato Gustavo Raffi, attuale gran maestro del Grande oriente d’Italia. Vicino alla massoneria era considerato lo stesso De Bustis. Aveva rapporti con quel mondo Bellaveglia, pur non essendo iscritto ad alcuna loggia. E i legami con la libera muratoria proseguiranno in epoca successiva. Mussari entrerà in rapporti con il direttore del "Corriere di Siena", Stefano Bisi, della cui appartenenza alla massoneria toscana non ha mai fatto mistero. E un altro massone, Enzo Viani, dipendente in pensione del Monte, sarà nominato presidente dalla società per l’aeroporto di Ampugnano. Proprio l’ampliamento di Ampugnano costerà a Mussari una richiesta di rinvio a giudizio per turbativa d’asta, su cui è atteso a breve il pronunciamento del giudice per le udienze preliminari.