Fabrizio Galimberti, Il Sole 24 Ore 3/2/2013, 3 febbraio 2013
QUEL PIZZICO DI UMANITÀ CHE PUÒ AIUTARE NEGLI AFFARI [
Non solo scelte razionali: sono fondamentali anche le emozioni ] –
Chi si avvicini all’economia potrà prima o poi sentir parlare della "teoria dei giochi". C’è quel nome, "teoria", che suona un po’ minaccioso, ma insomma, l’insieme è invitante: invece di parlare di cose noiose, come risparmi, investimenti, tassi di interesse e offerta di moneta, si parla di "giochi". Ma se vi volete gettare a capofitto nella teoria dei giochi, ve lo sconsiglio: è uno dei capitoli più astrusi della scienza economica. E se aprite un capitolo di un libro su quella teoria o leggete uno delle migliaia di articoli scritti in proposito dagli esperti, troverete ben poche parole: sono pagine e pagine irte di equazioni e altre notazioni matematiche.
Il libro seminale di questa branca dell’economia - il "Theory of Games and Economic Behaviour" - fu scritto nel 1944 da John von Neumann e Oskar Morgenstern. Il primo fu uno dei più grandi matematici del XX° secolo, il secondo un economista americano di origine tedesca. Ricordo che nei primi anni Sessanta, mentre viaggiavo con lo zaino in spalla per l’Asia centrale russa, a Samarcanda, in un alberghetto mi trovai a dividere il tavolo con un gruppetto di americani: ci presentammo e uno di loro mi disse di chiamarsi Morgenstern. Gli chiesi se era Oskar Morgenstern. Disse di sì, e fu stupito di essere riconosciuto in quell’angolo sperduto del mondo. Fu un po’ meno contento quando mi chiese se avevo letto il suo libro, e dovetti confessare che non ero andato oltre le prime pagine...
Ma il fatto che la teoria dei giochi sia astrusa non vuol dire che dobbiamo rinunciare a capirci qualcosa. Essenzialmente, cerca di spiegare il comportamento umano in tutti quei casi in cui due o più attori mirano a spartirsi qualche risorsa, guadagnare qualcosa o evitare di perdere qualcosa. Nella teoria dei giochi si sa che l’azione del giocatore A influenzerà la risposta del giocatore B, e bisogna trovare la strategia giusta tenendo conto di queste azioni e reazioni. Nei giochi di pura fortuna, come il lancio dei dadi, il mio lancio non influenza quello che farà il mio avversario.
Le definizioni sono interessanti, ma il miglior modo di spiegare è quello di un esempio concreto. E ricorrerò al più famoso esempio della teoria dei giochi, il cosidetto "dilemma del prigioniero", che in questo caso sarà "popolato" da due studenti, seguendo una storia vera che accadde nella scuola di mio figlio.
In uno dei primi Sole Junior - il 23 ottobre del 2011 - abbiamo menzionato una delle verità scomode dell’economia. Abbiamo detto: l’"egoismo è bello", e spiegato come la "mano invisibile" assicura che, se ognuno si fa i fatti suoi, si realizza il benessere collettivo. Il che è vero, ma lascia un po’ di amaro in bocca. L’economia deve proprio limitarsi a dire che è utile farsi i fatti propri, o può dire qualcosa di più?
In effetti, può dire qualcosa di più. E la teoria dei giochi esplora un caso in cui il "razionale egoismo" non funziona. Due compagni di scuola di mio figlio, la Trinity Grammar School (chiamiamoli Nick e Ned), furono presi dalla polizia perché sorpresi a rubare dei laptop nella scuola, di notte. Supponiamo che, nella guardina, il sergente li abbia separati, e poi abbia fatto a ognuno questo discorso: «Vi abbiamo pizzicato per questo furto, ma ce n’è un altro. Una settimana fa nello studio del preside qualcuno è entrato scassinando porta e cassetti e se ne è andato con l’incasso della Festa annuale. Questo è un crimine grosso e abbiamo ragione di pensare che siate stati voi. Se ci dici che è stato il tuo amico, lui sarà condannato sia per i soldi che per i laptop. Contro di te non abbiamo prove, se tu non confessi, e quindi sarai condannato solo per i portatili». Insomma, se Nick dice che è stato Ned (e in effetti erano stati loro), Nick viene accusato solo del furto minore; e se sta zitto? Anche in questo caso viene accusato solo del furto minore. Ma cosa succede, pensa Nick, se io me ne sto zitto e Ned mi accusa? Succede che io sarò condannato per tutti e due i furti e lui solo per i laptop. Allora, è meglio che io lo accuso, così me la cavo col furto minore. Razionalmente, Nick ha ragione. Ma lo stesso ragionamento lo fa anche Ned, col risultato che, a questo punto, si accusano a vicenda, la polizia ha due prove e può condannare tutti e due. Nick e Ned si sono comportati razionalmente, ma l’esito è stato catastrofico. Avrebbero dovuto stare zitti e se la sarebbero cavata col furto minore; ma questo richiedeva mettersi d’accordo; essendo stati interrogati separatamente, non potevano mettersi d’accordo. Per stare zitti entrambi ci voleva un grande grado di reciproca fiducia.
La razionalità non ha pagato, e il risultato di questo "dilemma del prigioniero", come lo chiamano gli economisti, sembra negare quel fondamento dell’economia: se uno fa il proprio interesse, il risultato è il migliore possibile. Ma niente paura: l’economia si inchina umilmente e riconosce che la razionalità non sempre paga; e riconosce anche che c’è una "razionalità superiore", una "razionalità umana" che conduce egualmente al risultato migliore. Si è appurato (esperimenti psicologici lo confermano) che nell’interazione sociale - come quella che aveva condotto Nick a fare coppia con Ned (pur se in un’associazione a delinquere!) - la natura umana fa sì che uno tenda a operare con altri che condividono il suo sentire, e questo "sentire" avrebbe condotto i due lazzaroni a fidarsi l’uno dell’altro e a scegliere la soluzione migliore per il "dilemma del prigioniero". Mio figlio, che conosceva bene Nick e Ned, mi confermò che in quel caso se ne sarebbero stati zitti!
La teoria dei giochi, presentando casi in cui la razionalità non paga, ha costretto la scienza economica a rivedere molti suoi fondamenti. E questi dilemmi e queste strategie si ripropongono in molti altri aspetti della vita reale. Qui sotto ne diamo alcuni esempi.