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 2013  febbraio 03 Domenica calendario

VI È PIACIUTA LA FRITTATA? [

Per dieci puntate abbiamo esplorato un enigmatico ingrediente che pare sfuggire a ogni precisa definizione ] –
Per quanto possano istigare alla speculazione, le uova riescono sempre a trovare il modo di sfuggire ad ogni costrizione (letteraria, culinaria o filosofica che sia). Ed è come se volessero fuggire al loro destino: che poi, almeno per quello che ci riguarda, le spinge a non essere ciò che dovrebbero (un pulcino) essendo invece la negazione di ogni loro possibilità (per dirne una a caso: il tegame). Concludendo, dunque, questo instabile percorso che si è mosso alla ricerca di una collocazione che probabilmente non c’è, varrà la pena insistere intorno a un’idea (un concetto-un’idea), che potrebbe anche rivelarsi meno significativa di quello che sembra: di per loro (le uova) sono sostanzialmente ineffabili, esattamente come può accadere per la semantica.
Per esempio: riguardo alla carbonara vale l’inutilità di mettersi lì a volerla spiegare in dissertazioni più o meno profane: parlarne in televisione, scriverne in riviste di cucina, perfino pensare di poterla infilare in un qualche romanzo da premio nazionale nel l’intento di renderlo più letterario di quello che realmente è. Non serve a niente. È inutile. La carbonara sfugge alla sua stessa definizione: (e per quanto si sia potuto sillogizzare sulla bavosità della frittata, in realtà era una finzione): perché tutto ciò che riguarda le uova (che sia una frittata, la carbonara o un uovo alla coque) sfugge a qualsiasi possibile definizione. Ma non è finita, la carbonara (sempre a titolo di esempio) non è solo ineffabile: visto che su di un piano matematico è un buon risultato se viene due volte su tre (in assoluto, anche al miglior cuoco, sapientemente esperto), se ne può dedurre anche l’incompletezza. Le uova dunque non contengono al loro interno, una dimostrazione della loro propria validità. O perlomeno non c’è modo di trovarla, questa dimostrazione. Sarà del tutto inutile, per dire, andare a cercarla in una trattoria all’Esquilino, al Ghetto, a Trastevere o in un defilato anfratto della Sgurgola, in uno di questi posti dove fanno pochi piatti, sempre quelli, li fanno bene, li spiegano poco e li servono peggio: («Allora vi dico cosa abbiamo oggi, oggi abbiamo Tonnarelli cacio e pepe, Rigatoni alla amatriciana, Spaghetti alla carbonara, Gnocchi alla marinara» che sarebbero coi fiori di zucca, pomodoretti e lupini. «Spezzatino alla picchiapo’, Sgaloppa al vino e Polpette al sugo» che sono plurali ma in genere è una sola, «Spinaci all’agro, Insalata verde, Puntarelle»). Ecco: in realtà non stanno dicendo niente, non intendono dire niente riguardo a niente: figuriamoci l’incompletezza, o l’ineffabilità, delle uova.
Sarebbe bene, piuttosto, ma non è pratica alla quale sono assidui i mercati (né quindi tutti coloro che di questi tempi li inseguono affannosamente) chiedere lumi all’arte. Che è poi quello che abbiamo cercato di fare fino ad adesso, e nel gran finale. In una delle migliori scene di A Night at the Opera, Graucho trova Harpo, Chico e il tenore in fieri Allan Jones richiusi nel baule appena trasportato all’interno della sua minuscola cabina («cabina numero 58, signore» dice il portantino aprendogli la porta, «58? Ma è la larghezza in centimetri, non il numero della cabina», risponde lui). A momenti avrà quello che crede dovrebbe essere un appuntamento galante con Mrs Calypool, ricchissima e prosperosa finanziatrice dell’Opera di New York. Così i tre clandestini promettono di levarsi di torno non appena lui li avrà fatti mangiare. Graucho esce dalla cabina in cerca dello Steward.
«Steward?! Stew!».
«Sì signore».
«Cosa c’è per cena?».
«Quello che preferisce: succo di pomodoro, succo d’arancia, succo di pompelmo, succo di ananas…».
«Lasci perdere tutti questi succhi, ma non riattacchi se no mi secco. Anzi, me ne porti uno per ognuno. E due uova fritte, due uova in camicia, due uova strapazzate e due uova alla coque, non troppo sode».
E due uova molto sode: dice una voce fuori campo. Graucho ripete: «E due uova molto sode». Lo steward prende nota. Sempre fuori campo suona una trombetta: oink! «Sarà meglio fare tre uova molto sode… E del roast beef: al sangue, medio, ben cotto e stracotto». Lo steward continua a scrivere.
Di nuovo fuori campo: e due uova molto sode. «E due uova molto sode» ripete Graucho. Dalla cabina: oink! Graucho: «Sarà meglio fare tre uova molto sode… E otto fette di torta francese». Lo steward corregge. Fuori campo, insiste: e due uova molto sode. Graucho: «E due uova molto sode». Fuori campo: Ooonk! Graucho: «E un uovo di anatra… Avete composta di prugne?».
«Certo, Signore». E lui: «Portatela con del caffè nero, ma sobrio». Fuori campo: e due uova molto sode. E a seguire: Oink, oink, oink, oink, oink… Graucho: «Temo che bisognerà fare qualcosa di più che tre uova molto sode…». E aprendo la porta della cabina: «Be’, cercate di sbrigarvi perché prima arrivate e prima la faremo finita con tutto questo raduno».