Lettere a Sergio Romano, Corriere della Sera 03/02/2013, 3 febbraio 2013
STORIE DI BANCHE MALANDATE IL CASO DEL MONTE DEI PASCHI - È
verosimile associare lo scandalo che coinvolge il Mps a quello che colpì la Banca Romana, alla fine del 19° secolo, portandola al fallimento? Lo Stato italiano risulterà impegnato con il Mps per 31,9 miliardi, se sommiamo i 3,9 miliardi di Monti bond in discussione, con la fidejussione prestata a dicembre 2011, a garanzia di 28 miliardi di obbligazioni emesse da Mps.
Monica Alessandri
monicalessandri@hotmail.it
Il fallimento di Lehman Brothers, grande banca d’affari americana, è stato il più sconvolgente nella storia delle bancarotte mondiali. Malgrado fosse «too big to fail» (troppo grande per fallire), il governo americano ha voluto dare un esempio, non intervenendo con operazioni di salvataggio. Sono passati 4 anni, ma nulla sembra cambiato. L’assunzione di «derivati» per coprire o diluire nel tempo perdite da investimenti sbagliati, ha contagiato banche e amministrazioni pubbliche e private. Il caso della Banca Mps è sintomatico. Non sarebbe ora che anche il governo dimostrasse che non esistono più zone franche e che un Istituto, come il Monte dei Paschi, pur essendo «big» può fallire o, quantomeno, essere commissariato? Mai come in questa occasione vale una frase di Mao Zedong: colpirne uno, per educarne cento.
Attilio Lucchini
attiliolucchini@hotmail.it
Cari lettori, nella sua qualità di erede di un istituto pontificio la Banca Romana apparteneva a un consorzio di banche emittenti creato nel 1874. Poteva quindi stampare denaro (ma la circolazione non doveva superare il 40% del capitale) e doveva dare notizia al governo dei biglietti stampati per suo conto. Non rispettò l’impegno del 40% e non disse mai al governo che aveva fatto stampare clandestinamente a Londra, per coprire un vuoto di cassa, 9 milioni di biglietti, soprattutto in tagli da 200 lire. Quando una commissione ispezionò la Banca, nel 1889, si scoprì che il suo bilancio registrava una massa di crediti inesigibili. Poteva sembrare florida, a prima vista, ma di fatto era già fallita.
Il caso del Monte dei Paschi è diverso. La storia dell’Istituto negli ultimi anni è una lunga sequenza di operazioni dispendiose, di strategie sbagliate e di perdite occultate, ma il Monte ha risorse importanti e una nuova gestione che cerca di riparare i danni provocati dalla precedente presidenza.
Quanto a Lehmann Brothers, caro Lucchini, il suo fallimento è oggi considerato la causa della rapidità con cui la crisi, nei mesi seguenti, ha travolto dozzine di istituti di credito sulle due sponde dell’Atlantico. Quante banche, da allora, dovettero essere salvate o nazionalizzate? Non vedo governo europeo disposto a permettere, in omaggio all’ortodossia liberale, il fallimento di una grande banca nazionale. E non mi stupisce che il governo italiana abbia favorito la ricapitalizzazione del Monte con bond che frutteranno al Tesoro, comunque, l’interesse del 9%. Che cosa sarebbe accaduto se il Monte fosse fallito? Le ricordo che i conti correnti in Italia sono garantiti sino alla somma di 100.000 euro e che il costo degli indennizzi finirebbe per ricadere sulla comunità nazionale. Le ricordo che i dipendenti del Monte sono 31.170 e che il fallimento della banca provocherebbe, soprattutto in Toscana, una legione di terremotati.
Naturalmente il salvataggio ha un senso soltanto se il Monte verrà gestito con criteri molto diversi da quelli del passato. All’origine del problema vi è il rapporto dell’istituto con la città. Una grande banca può favorire le buone iniziative dell’ambiente sociale a cui appartiene, ma non dovrebbe avere un legame organico con le sue istituzioni politiche e amministrative. In una intervista al Corriere del 30 gennaio, Giovanni Grottanelli de’ Santi, presidente della Fondazione del Monte dal 1996 al 2000, ricorda le ragioni per cui dette le dimissioni. Era convinto che il consiglio, nello spirito della legge con cui le Fondazioni erano state istituite, dovesse essere composto da esponenti nella società civile. Venne deciso, invece, di legare le nomine alle segnalazioni del Comune, della Provincia e della diocesi vescovile. Grottanelli perdette la partita e si dimise con una lettera che spiegava i motivi del suo gesto. Il tempo, ahimè, gli ha dato ragione.
Sergio Romano