Mauro Chiabrando, Domenica, Il Sole 24 Ore 3/2/2013, 3 febbraio 2013
E LONGANESI SI FECE I SANTINI [
Li usava per fare pubblicità ad altri suoi libri. Oggi sono molto ricercati, anche Scheiwiller li collezionava ] –
Può capitare di aprire un vecchio libro e trovare tra le pagine foglietti volanti con la pubblicità dell’editore. L’abitudine risale all’Ottocento ed è continuata, con modalità e picchi di frequenza diversi, fino agli anni Settanta del secolo scorso, uccisa dall’aumento del costo della mano d’opera in tipografia e dalle alte tirature. Questo materiale effimero destinato al lettore – gettato via (con le sovraccoperte) anche dalle biblioteche pubbliche – è ormai sempre più difficile da reperire, pur essendo talvolta storicamente molto interessante. Composto perlopiù da tipografiche ed estemporanee anticipazioni delle novità del catalogo, non è mai stato oggetto di diffuso e sistematico collezionismo, tranne rari casi. Tra questi forse il più singolare riguarda i cosiddetti «santini» di Leo Longanesi, editore geniale e raffinato bibliofilo, capace di far stampare sul proprio biglietto da visita la scritta «unico erede di Bodoni», il grande tipografo saluzzese di cui proprio quest’anno ricorrono i 200 anni dalla morte. Come «santini» apparivano infatti i foglietti dagli angoli smussati e dalle cornici colorate di rosa, tabacco e celeste (lo stesso fregio era presente nelle alette di alcune sovraccoperte) inseriti nei volumi per reclamizzare singole novità in uscita nel breve (1948-1949) ma intenso periodo d’esordio della casa editrice Longanesi & C.: al recto tra titolo e autore era stampata una delle sue famose «vignette», mentre al verso c’era il breve testo della scheda, scritta di suo pugno tranne nei rari casi in cui optava per riportare il giudizio di un critico. Longanesi abbinava i titoli in uscita estraendo soggetti dallo scenario immaginario del suo mondo ottocentesco, popolato di oggetti (bandiere, mongolfiere, dirigibili, binocoli, coppe, brocche, calamai, alambicchi eccetera) e figure (omini in bombetta, damine, odalische, commendatori eccetera) colte in varie pose (in coppia, in primo piano, assorti in letture o meditazioni eccetera). O avevano la forza espressiva del ritratto oppure quella graffiante della satira. Facce, ambienti e personaggi non sono diversi da quelli dei suoi quadri a olio e dei disegni (per lo più incisioni) realizzati per le copertine dei suoi libri (ma solo di Parliamo dell’elefante e In piedi e seduti c’è il «santino») o di molti autori del catalogo, per illustrare le sue riviste (prima «L’Italiano» e «Omnibus», poi «Il Libraio» e «Il Borghese») e anche, infine, le pubblicità per gli inserzionisti (Agip, Vespa Piaggio, Fiat, Pirelli, Moto Guzzi, Campari eccetera). Ciò che altri avrebbero considerato un compito redazionale di secondaria importanza, veniva svolto personalmente dal l’editore anche portandosi il lavoro a casa.
Fino dai tempi de «L’Italiano» Longanesi produceva disegni in grande quantità: a Milano decise di utilizzarli, oltre che nei suoi libri e nelle sue riviste anche nei cataloghi, nelle sovraccoperte e per la pubblicità; li chiamava «legnetti» o «figurozzi» a seconda che il disegno originale fosse stato inciso xilograficamente o trasformato direttamente in zincografia. Come l’amico Mino Maccari, si serviva all’uopo di un incisore esterno: ritoccava un disegno o acquerello con la biacca, così evitava di rifare l’originale apportando le correzioni desiderate sempre sullo stesso foglio. Poi lo fotografava con una speciale diapositiva la cui gelatina veniva apposta sul blocco di legno pronta per essere incisa fedelmente e quindi trasformata in galvani o clichè per la stampa tipografica. L’incisore era un certo Pagano di Napoli, di cui spesso però Longanesi criticava il lavoro. Stanco dei continui battibecchi che seguivano le contestazioni dell’editore di Bagnacavallo, l’artigiano mandava il figlio ancora bambino o la moglie a consegnare i lavori, ma anche a loro non venivano risparmiati gli improperi diretti al padre.
In verità Longanesi non aveva mai attribuito alcun valore a queste deliziose incisioni se non quello dell’uso immediato. Sappiamo questi particolari dalle testimonianze preziose del giornalista Corrado Pizzinelli e soprattutto di Mario Monti (1925-1999), il figlio di Giovanni Monti co-fondatore e socio finanziatore della Longanesi & C. Entrambi avevano avuto modo di lavorare a fianco di Longanesi fino alla fine del 1956, quando Giovanni Monti – da tempo contrariato dalle posizioni antigovernative prese dalla rivista ormai passata da poco totalmente in mano a Longanesi – con un aumento di capitale costrinse il fondatore a lasciare la società che portava il suo nome.
In verità pochi rammentano che una propria editrice (Leo Longanesi Industria Editoriale, corso Vittorio Emanuele 349, Roma) già l’aveva fondata nella Capitale qualche anno prima, complice Angelo Rizzoli, per il quale dirigeva dal 1940 la celebre collana «Il Sofà delle Muse», ma l’interruzione dell’attività in seguito all’occupazione tedesca e alla sua fuga al Sud, ne avrebbe di fatto condizionato lo sviluppo. Il discorso fu poi ripreso nel febbraio 1946 a Milano creando con i nuovi partner una nuova società, la Longanesi & C., i cui primi quattro titoli hanno infatti ancora l’indicazione «Milano-Roma». Inoltre le collane «La Gaja Scienza», «La Buona Società» e «Il Cammeo», concepite tra il 1942 e il 1943, almeno fino al 1955 riporteranno anche i vecchi titoli pubblicati a Roma. Ancor prima dell’improvvisa scomparsa di Longanesi per un attacco di cuore il 27 settembre 1957, il fascino dei «santini» contaminò pure altri editori: l’editore Gherardo Casini fece una lunga serie di analoghi foglietti illustrati su carte colorate, mentre la milanese Casa Editrice Civiltà di Lelio Basso copiava la cornice ad angoli smussati aggiungendo testo anche al recto dei suoi foglietti. Nel 1983 l’editore Altamurgia Bertani di Verona, per Racconti d’Ivrea di Domenico Tarantini realizzò addirittura un vero e proprio clone longanesiano!
Quelle strane pubblicità della casa editrice di via Borghetto 5 hanno sempre mantenuto il loro appeal, diventando oggetto di collezione da parte di bibliofili come Vanni Scheiwiller, vero cultore di Longanesi, amico di famiglia, fino dal 1953 quando raccolse, giovanissimo, il testimone di editore dal padre Giovanni. Nel dicembre 1957, per rendere omaggio alla sua memoria, ripubblicò «All’Insegna del Pesce d’Oro», la famosa Lettera alla figlia di un tipografo, apologo in forma epistolare del credo tipografico longanesiano, apparso per la prima volta su «L’Italiano» nel 1928. Scheiwiller concluse il volumetto (anch’esso oggi molto ricercato, valutazione 150 euro) proprio con quel beffardo epitaffio che Longanesi stesso, rispondendo nel 1955 alla domanda di un giornalista, aveva scelto per la sua tomba: «Torno subito».
Anche i Monti, per «onorare la memoria del loro fondatore e maestro», pubblicarono nello stesso mese una raccolta di 81 vignette, Me ne vado (valutazione 100 euro), di cui una ventina erano proprio quelle apparse sulle pubblicità editoriali. Ma quanti erano questi «santini»? Il catalogo dal titolo Quella strana pubblicità - l’album dei «santini» di Leo Longanesi (pagg. 104, pubblicato in mille copie non venali nel 2003 dall’Università degli Studi del Molise, a cura di Massimo Gatta), ne riporta 128, di cui 9 non numerati. Contemporaneamente uscirono oltre 70 foglietti pubblicitari che nella maggior parte comprendono identiche versioni prive di cornice colorata, in carta bianca o azzurra, salvo quella illustrata di Tempo di uccidere di Ennio Flaiano, a cui manca il corrispondente «santino». La cifra è ricavata dal censimento di raccolte private, tra cui quella del collezionista romano Alberto Ravaglioli, e quelle di amici librai. Il numero più alto riportato su un «santino» (Confucio di Maurice Collis) è 141 (dunque 4 sono quelli che complessivamente mancherebbero all’appello) su un totale di circa duecento titoli usciti dal 1946 alla fine del 1949, quando Longanesi, ormai troppo impegnato nel lancio de «Il Borghese», di fatto cessò la produzione di queste particolari pubblicità. Rimane tuttora misteriosa la ragione della numerazione progressiva, riportata (a volte sì, altre no) al verso dei cosiddetti «santini», mai presente però nelle versioni di altro formato e senza cornice colorata, senza contare poi le sviste come numeri ripetuti con soggetti diversi e che corrispondono molto probabilmente ad alcuni salti nella numerazione. Se non si ha la fortuna di trovarli «gratis» nei libri, il prezzo dei «santini» può oscillare tra i 3 e i 5 euro per i più comuni fino a qualche decina per i più rari (per esempio: Energia di Martin Ruhemann, n. 92; Le mangiatrici di uomini del Kumaon di Jim Corbett, n. 48; Donne pericolose di Compton MacKenzie n. 116; La vita segreta di Salvador Dalì, senza numero; La gelosia n. 105 ma nella versione con il carabiniere) che facilmente impediscono di completare la raccolta (proprio per questo motivo l’album di tutte le versioni citate, peraltro mai messo in vendita finora, non potrebbe costare meno di mille euro). Nella premessa del suo romanzo a quadri (122 tavole a colori) Una vita (Longanesi, 1950, valutazione di un raro esemplare in perfetto stato, 180 euro) Leo Longanesi, senza volere, offre a chi oggi osservi i suoi «santini» la chiave con cui si dovrebbe interpretare il rapporto, mai puramente casuale, tra opera e illustrazione: «Il lettore, tuttavia, osservando questi disegni, potrà ricostruire a modo proprio la trama del romanzo».