Enrico Fierro, Il Fatto Quotidiano 3/2/2013, 3 febbraio 2013
IL SERPENTE NERO DEI SALAFITI CHE AVVELENA LA NUOVA TUNISIA
La storiella è già leggenda metropolitana. Un ragazzo con la barba lunga e nera prende un taxi. Lo stereo trasmette brani rock e il barbuto, infastidito, chiede al tassista di spegnere perché la musica è contro la religione e offende Allah. Il tassista ferma lo stereo, blocca la macchina, apre la portiera e invita il giovane barbuto a scendere. “Vedi, non c’è più musica e Allah può stare tranquillo, ora tu aspetta il prossimo cammello e fatti portare nella caverna dove vivi”. Forse è solo fantasia popolare, ma la storia serve più di mille dotte analisi a raccontare il conflitto tra passato e futuro, modernità e arretratezza, che sta scuotendo la Tunisia. Sono passati poco più di due anni dal giorno in cui il venditore ambulante Mohamed Bouazizi si immolò dandosi fuoco davanti alla sede del governatorato di Sidi Bouzid. Una morte che fece da detonatore all’esplosione del disagio sociale e dell’indignazione contro il dittatore Ben Alì e la sua famelica corte familiare. Da allora la Tunisia è ancora alla ricerca della sua strada verso la democrazia, le data delle elezioni politiche non è stata ancora fissata e la scrittura della Costituzione procede a passi lenti.
La pressione per la sharia nella Costituzione e la presa delle 150 moschee
Il Parlamento è diviso tra il partito di ispirazione islamica Ennahda che detiene il 37% dei deputati, e i movimenti “laici”. Al centro dello scontro i principi della sharia, la legge islamica, che le frange più dure di Ennahda vorrebbero introdurre nella Carta costituzionale. Ma a preoccupare di più in queste ultime settimane sono gli attentati degli estremisti salafiti ai simboli del laicismo e dell’islam moderato. L’ultimo il 12 gennaio, con l’incendio a Sidi Bou Said del mausoleo sufi risalente al XIII secolo. “Un’offesa alla religione e a tutti i tunisini”. La condanna viene da una fonte insospettabile, Abdelfattah Mourou, fondatore Ennahda assieme a Rashid Ghannushi e vicepresidente del partito. Un intellettuale odiato dagli estremisti della corrente salafita, il 12 agosto scorso, uno di loro lo colpì lanciandogli un bicchiere durante una conferenza nella città di Kairuna. “C’è una corrente salafita che ci costringe a voltarci indietro. Loro vogliono un islam del III secolo di fatto incompatibile con una democrazia”. L’analisi dell’avvocato Morou, un uomo che ha combattuto il regime di Ben Alì, è spietata. “Il 23 gennaio sono stato aggredito in una moschea dai salafiti a calci e pugni, sono estremisti che non capiscono la politica e il valore della cittadinanza”. L’avvocato, che dall’età di 18 anni veste sempre il tradizionale abito tunisino, ci racconta che ormai sono 150 le moschee in mano a imam della corrente salafita. “Dietro questa crescita – ci dice – c’è lo zampino di Qatar e Arabia Saudita. Ho chiesto di lanciare un appello in tv contro la violenza, non mi hanno dato ascolto”. Quando gli parliamo delle tante donne coperte integralmente dal niqab che abbiamo visto in giro, l’avvocato sorride. “Nessuno può togliere alle donne tunisine i diritti acquisiti in famiglia e nella società, sono scritti nello statuto voluto da Bourghiba nel 1957, ma soprattutto sono impressi nel codice e nell’educazione dei tunisini”.
Soumaya Gharsallah-Hizem, è una intellettuale di 35 anni, dal giugno scorso guida il Museo del Bardo, la più imponente raccolta di mosaici del Mediterraneo. Ha studiato architettura e museologia specializzandosi all’estero, quando scoppiò la rivoluzione era in Canada. Non ebbe dubbi e tornò in Tunisia. “Ed eccomi alla guida di questo museo. Qui è conservata la nostra memoria, qui i giovani possono toccare con mano come la nostra terra è stata la culla dell’ebraismo, del cattolicesimo e dell’islam. È una grande lezione, molti ragazzi tornano con i genitori per aiutarli a capire. La Tunisia è diversa dall’Egitto, gli estremismi non attecchiranno, la nostra società è più aperta, l’alfabetizzazione è alta, non siamo scossi da divisioni etniche o religiose”. Chiediamo alla dottoressa Hizem quale ruolo ha avuto nella rivoluzione. “Ho deciso di fare la mia parte recuperando e catalogando le opere d’arte trafugate da Ben Alì e dalla sua corte per abbellire le loro ville”. Una raccolta di reperti storici ora conservata in un’ala del museo di Cartagine. La giovane guida che ci accompagna ci mostra un’antica statua fenicia che la moglie del despota aveva fatto trasformare in sputacchiera, e sbotta. “Questi porci sputavano ogni giorno sulla nostra storia”. Gli intellettuali, la società civile, i giovani delle aree urbanizzate salveranno la Tunisia dal buco nero dell’integralismo religioso.
“Ho detto no al niqab all’università: mi hanno devastato lo studio”
Il professor Habib Kazdaghli Doyen è il Preside della Facoltà di arti, lettere e scienze umane dell’Università di Tunisi-Manouba. Ci accompagna in una lunga passeggiata alla Medina. “La verità è che la Tunisia è un paese diviso, le forze democratiche sono ancora deboli, quelle teocratiche, invece, vogliono l’involuzione, puntano a trascinare il Paese in un abisso”. Il professore è diventato il simbolo della Tunisia laica che resiste, da quando disse no alle richieste degli islamisti radicali. “Pretendevano che le ragazze indossassero il niqab, io mi opposi e con me il consiglio di facoltà. Un docente è come un attore deve vedere in faccia e negli occhi il suo pubblico. Mi devastarono lo studio e saccheggiarono documenti”. Il professor Kazdaghi è accusato di aver maltrattato due ragazze velate che fecero irruzione nei suoi uffici, il processo è in corso e la sentenza dovrebbe essere emessa il prossimo 10 marzo. Rischia fino a cinque anni di carcere. Mentre beviamo un te alla menta sorride. “Sono difeso da 40 avvocati, tra questi c’è anche Essebsi, il presidente di Nidaa Tounes”. Appello alla Tunisia, è il cartello di partiti riuniti attorno alla figura di Bej Caid Essebsi, 86 anni. I sondaggi lo danno al 24% dei voti, lo incontriamo nella sede del partito. Ad accoglierci la gigantografia di Bourghiba. “La bandiera della Tunisia rappresenta tutti – ci dice – ma ci sono alcuni che vogliono sostituirla con quella nera dei salafiti. All’inizio Ennahda si è presentato come un partito democratico, poi sono iniziati gli attacchi ai diritti delle donne e la chiusura alla società civile. La separazione della religione dalla politica è la prima riforma da fare. La più decisiva per il futuro della Tunisia”.