Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  febbraio 04 Lunedì calendario

LE IMPRESE NON TROVANO LAUREATI [

Ogni anno il «mismatch» tra domanda e offerta frena l’assunzione di 50mila under 30] –
Gira e rigira l’Italia si conferma il Paese dei mille paradossi. Specie nel mondo del lavoro. Da un lato, il tasso di disoccupazione giovanile resta oltre la soglia di guardia (a dicembre al 36,6% secondo l’Istat); dall’altro, le aziende fanno fatica a riempire i vuoti d’organico. Al gap di 65mila diplomati tecnici, più volte lamentato dagli industriali, si aggiungono gli oltre 45mila laureati che le imprese non riescono ad assumere per il
mismatch tra domanda e offerta di personale con un titolo di studio immediatamente spendibile sul mercato. E così i posti restano vacanti e i neolaureati ripiegano su occupazioni per cui basta il diploma. Un fenomeno preoccupante, più dell’allarme "matricole in calo" lanciato dal Cun la settimana scorsa.
Dei 45.900 laureati che mancano all’appello quasi la metà (19.700) riguarda altrettanti "reduci" della facoltà di ingegneria. Ma del gruppo fanno parte anche 14.600 profili del ramo economico-statistico, 7.800 del campo medico-sanitario e 3.800 di quello giuridico. Viceversa, sul fronte dell’offerta, continuiamo a registrare un surplus di 48mila unità nei campi meno appetibili sul mercato. Si va dai 15.100 laureati in discipline politico-sociali ai 10.200 del settore letterario. E, passando ai 4.400 psicologi e 3.700 architetti a spasso, si arriva giù ai 700 con una laurea in agraria e ai 500 in chimica o farmaceutica.
Un’ulteriore prova che, crisi o non crisi, la domanda di laureati continua a essere sostenuta e spesso inevasa giunge dai dati del sistema informativo Excelsior di Unioncamere. Che, a differenza di altri database sul tema, parte dalle richieste delle aziende. Ebbene nel 2012 la domanda censita si è assestata sulle 58.900 unità. In calo rispetto ai 74.150 dell’anno prima se considerata in valore assoluto, ma in aumento (dal 12,5% al 14,5%) se rapportata alla domanda complessiva di occupati. A tirare sono soprattutto i settori del made in Italy tradizionale (alimentare, moda, meccanica) e l’Ict, laddove arrancano ancora commercio, turismo e costruzioni.
L’indagine di Unioncamere testimonia inoltre come in Italia il fenomeno dell’over education sia tutt’altro che debellato. Partendo dai 58.900 profili citati, lo studio quantifica in 22.200 i laureati under 30 richiesti sul mercato. Di cui il 41,9% è destinato a professioni intellettuali, scientifiche e di alta specializzazione, il 36,5% a professioni tecniche, ma ben il 20,3% a profili di impiegato.
Troppo spesso nei call center. Come se non bastasse, nel 45% dei casi l’under 30 assunto si rivela inadatto al lavoro trovato, perché privo di formazione (19%), esperienza (9,8%) o delle caratteristiche personali adatte alla professione. In un altro 28% delle situazioni censite, invece, è il lavoro a non essere adatto a chi lo sta cercando.
Guardando avanti emerge innanzitutto l’esigenza che le numerose banche dati sui laureati si parlino meglio. E se possibile prima. Una spinta potrebbe arrivare dall’entrata a regime del consorzio Cineca 2.0, che entro giugno 2013 dovrà completare la fusione con gli altri due consorzi (Cilea e Caspur) e arriverà a monitorare 66 atenei.
Per Giuseppe Roma, direttore generale del Censis, la disomogeneità dei database è solo una concausa. Peraltro superabile se si desse vita a «un sistema di tracciabilità della storia lavorativa dei laureati». A suo giudizio, il vero limite è l’assenza di lauree triennali veramente formative. «In tutte le economie europee la vera occupabilità è quella intermedia, che è spesso legata alle lauree intermedie».
Di «Paese bloccato» parla il vicepresidente di Confindustria per l’Education, Ivan Lo Bello. «È ancora diffuso il luogo comune che abbiamo troppi laureati e che la laurea non serve per entrare nel mondo del lavoro. Niente di più sbagliato. In un Paese come il nostro, che paga una crisi demografica molto acuta – aggiunge –, l’unica speranza di crescita va riposta in un capitale umano avanzato che si lega al mondo produttivo e lo rende più innovativo e competitivo. I giovani non devono scoraggiarsi: la laurea è importante, ma serve orientarsi bene nella scelta dell’università, tenendo conto della domanda delle imprese e del mercato del lavoro».
Sul mismatch tra domanda e offerta, Lo Bello spiega che «alle imprese mancano ingegneri, economisti, giuristi d’impresa, chimici, tecnici specializzati. Ogni anno – commenta – l’università italiana produce circa 50mila laureati destinati alla disoccupazione o alla sottoccupazione, mentre le imprese cercano 50mila profili professionali che non trovano». Già, ma cosa fare per invertire la rotta? «Bisogna avvicinare i giovani al lavoro già durante il percorso formativo, spiegandogli l’opportunità che il nuovo apprendistato offre loro per svolgere l’ultimo anno della laurea triennale in azienda o, addirittura, per fare un dottorato in azienda, mettendo a fattor comune competenze acquisite on the job e competenze di ricerca degli atenei».