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 2013  febbraio 04 Lunedì calendario

VOLO AZ2013, ULTIMA CHIAMATA


Piano Fenice, atto secondo. Alitalia, a quatto anni dal salvataggio e dalla vendita alla Cai, è costretta per la seconda volta a provare a rinascere dalle proprie ceneri. Il salvagente- bis arriverà oggi quando il cda, preso atto che i 735 milioni persi dal 2009 hanno bruciato buona parte del capitale, metterà l’ennesima toppa ai conti della compagnia. Come? Un aumento di capitale tout court è impossibile, visti i guai finanziari di molti soci. A mettere mano al portafoglio - firmando si dice un assegno di 100 milioni che potrebbero salire fino a 150 – saranno così solo gli azionisti con le spalle più larghe: Air France («è nostro interesse continuare a sviluppare le sinergie tra i due gruppi», hanno fatto sapere di recente da Parigi), Banca Intesa, Roberto Colaninno, i Benetton e forse persino i Riva.
Sperando che il nuovo salasso – un prestito che in futuro potrebbe trasformarsi in capitale – basti a completare il percorso del rilancio di Alitalia. Obiettivo finale: la terra promessa dell’utile operativo – previsto per il 2011 e poi posticipato un anno alla volta fino al 2013 fissato oggi dal nuovo ad Andrea Ragnetti – e l’inevitabile (prevedono tutti) matrimonio con Air France. Una cerimonia che secondo il tam-tam di settore potrebbe allargarsi ora a un menage a trois con l’Etihad.
Il piombo nelle ali
Il percorso dei promessi sposi da qui alle nozze, però, non è tutto in discesa. Alcuni soci minori di Alitalia sono in fibrillazione – all’ultimo consiglio il Fondo Equinox è arrivato a presentare una mozione di sfiducia (respinta) contro Colaninno, proponendo di sostituirlo con Elio Catania – mentre la recessione continua a riempire di piombo le ali della società. Nella stanza dei bottoni dell’aerolinea tricolore è un deja vu. «Se petrolio e dollaro fossero allo stesso livello del 2009, quando è decollato il primo piano Fenice, oggi nessuno sarebbe qui a parlare di crisi e festeggeremmo 300 milioni di utile netto e 200 di risultato operativo», calcola Ragnetti. «Ora siamo nell’occhio del ciclone per motivi elettorali, ma mi dia retta: Alitalia è una delle più belle storie recenti di ristrutturazione dell’Italia Spa», confessa in camera caritatis un (molto ottimista) socio del gruppo.
E’ vero? Nessuno, in effetti, può negare che il management – Rocco Sabelli prima e Ragnetti ora – abbia lavorato sodo, portando a casa buoni risultati operativi: la flotta di Alitalia è tra le più giovani d’Europa, con un’età media di 6,5 anni contro i 9,3 di inizio 2009, la regolarità dei voli è al record continentale con un 99,7%, i bagagli smarriti sono scesi dai 20 ogni mille di quattro anni fa ai cinque di oggi.
Peccato tuttavia che tutti questi sforzi non abbiano pagato sotto il profilo economico. A causa di un problema strategico di fondo – la scelta di concentrare Alitalia sul mercato domestico e il medio raggio non ha dato i risultati attesi a causa della forte concorrenza delle low cost – e del vento contrario della recessione (il piano Fenice prevedeva tra 2009 e 2012 un aumento del pil reale del 3,4 per cento, invece il saldo è negativo del 3,4 per cento), l’inflazione è stata sottostimata, mentre il rendimento per passeggero (e qua pesano gli errori di posizionamento strategico) è inferiore del 15 per cento rispetto alle stime. E i conti del gruppo, la matematica non è un’opinione, faticano così a tornare.
I guai finanziari
Il combinato disposto di questi diversi fattori sono in effetti proprio i risultati economici di Alitalia. I primi nove mesi dell’anno si sono chiusi in rosso per 173 milioni di euro e i miglioramenti dei mesi successivi (secondo fonti aziendali il quarto trimestre si sarebbe chiuso con perdite operative inferiori ai 15 milioni del 2011 e anche inizio 2013 sarebbe in linea con il budget) non sono bastati a placare la mini-rivolta scoppiata negli ultimi consigli d’amministrazione tra i soci. Con Salvatore Mancuso, deus ex machina di Equinox (scottato pure dal fallimento dei negoziati con Windjet) a capo di un gruppo – per ora ridotto – di “carbonari” che accusano di eccesso di dirigismo sia Colaninno che Ragnetti. Malessere sfociato a un certo punto nella richiesta di affidare a Rotschild un mandato per trovare soluzioni alternative ad Air France per valorizzare l’investimento.
Il timore dell’opposizione interna dell’Alitalia è che si fatichi a uscire dall’angolo in cui la crisi ha cacciato la compagnia. E che l’impasse consegni alla fine la società su un piatto d’argento a Parigi, ben contenta di portarsela via per un piatto di lenticchie attraverso un aumento di capitale dopo aver offerto cinque anni fa la non modica cifra di 2,4 miliardi. La politica tricolore, che su Alitalia non ha mai perso l’occasione per non tacere, ha già fatto sentire la sua voce: «Deve restare italiana», ha ribadito Silvio Berlusconi). «Serve una soluzione forte, l’italianità è secondaria», ha sostenuto più pragmaticamente Mario Monti.
Le nuove rotte
Molte alternative ad Air France, in realtà, non ce ne sono. Si è parlato di un interesse di Etihad. La compagnia degli Emirati Arabi, però, già partner commerciale di Alitalia, non può acquistarne più del 49 per cento per non far saltare (non è una società dentro il perimetro dell’Unione Europea) tutti i diritti sulle tratte su cui opera ora. E in fondo, per un prezzo più o meno simile, potrebbe comprare una quota importante in Air France. Etihad piuttosto, secondo indiscrezioni, potrebbe valutare l’ingresso nel capitale delle Millemiglia, il programma di fidelizzazione in via di scorporo, come ha fatto con quello di Air Berlin. Dando tra l’altro all’azienda tricolore un altro po’ di ossigeno per traghettare oltre la crisi. Qualcuno, specie tra le file della fronda interna, spera nell’arrivo di un principe azzurro sotto forma di un’altra aerolinea del Golfo o addirittura della tedesca Lufthansa. Ma le penali per far saltare l’asse con Skyteam, la maxi alleanza costruita attorno ad Air France, sono troppo salate per chiunque.
Resta poi il problema di fondo: che posizionamento strategico ha ora Alitalia? Il suo modello di business è stato disegnato in coordinamento (e si potrebbe dire a immagine e somiglianza) delle esigenze di Air France. L’intercontinentale – il traffico più ricco – è in buona parte veicolato a pagamento verso Parigi e Amsterdam dove se ne fanno carico sia Klm che Air France.
Il mercato domestico, malgrado i guai di Wind Jet e di Meridiana, è in flessione ed eroso da Easyjet (pronta anche al debutto sulla tratta Milano Linate- Roma), Ryanair e dall’alta velocità su rotaia. La visione di Ragnetti per ribaltare questa situazione è chiara: andare a caccia di margini su rotte meno battute e ad alto valore aggiunto. Durante la prossima stagione estiva ci saranno Ankara, Orano, Fortaleza (confermata), Copenhagen e Cracovia, tutte da Fiumicino.
Funzionerà? Tutto, con ogni probabilità, dipenderà dall’andamento dell’economia. Se ripartirà, sarà più facile per Colaninno & C. far quadrare i conti. E presentarsi così al tavolo dei negoziati con Parigi con qualche carta in più da giocare. Se qualcosa andrà storto, la situazione rischierà di avvitarsi. Per bruciare i 150 milioni messi sul piatto oggi non ci vorrà molto. E a quel punto arriverà il redde rationem. Nessuno, se non la compagnia transalpina, avrà il denaro per tenerla in rotta. E così Air France si porterà via tutto il traffico italiano verso la Senna a prezzi di realizzo. «Io li conosco, a quel punto porterebbero tutti i turisti del mondo in visita ai Castelli della Loira, snobbando l’Italia», ha detto nei mesi scorsi, scherzando forse, Berlusconi. Il problema è che probabilmente, in tempi nemmeno troppo lontani, potrà verificare di prima mano se aveva ragione o no.