Fabio Cavalera, Corriere della Sera 04/02/2013; Giuseppe Galasso, ib., 4 febbraio 2013
2 articoli – L’UOMO DEL PARCHEGGIO? ERA RICCARDO III. LA CONFERMA DEL DNA — L’asfalto di un parcheggio aveva inghiottito l’ultimo Plantageneto
2 articoli – L’UOMO DEL PARCHEGGIO? ERA RICCARDO III. LA CONFERMA DEL DNA — L’asfalto di un parcheggio aveva inghiottito l’ultimo Plantageneto. Quel re usurpatore e sanguinario era lì sotto, a Leicester, dimenticato da oltre cinque secoli. Le ossa ancora intatte, con i segni sul cranio dell’ultima battaglia, la spina dorsale incurvata. Shakespeare a Riccardo III aveva dedicato un capolavoro teatrale: «Ho tramato complotti di ogni genere / ho iniettato negli animi il veleno con profezie, calunnie, fantasie / per seminare mortale inimicizia». E con poche parole all’inizio del primo atto, recitate dallo stesso monarca-protagonista, ne aveva dato una magistrale descrizione. Qual è stata la sua sorte? Riccardo III entrato nella storia inglese con una pessima fama. Sparito. Ritrovato per caso. L’università di Leicester ormai è certa, il margine di errore è ridotto al lumicino. Oggi diranno pubblicamente e definitivamente che lo scheletro scoperto all’inizio dello scorso settembre è proprio di Riccardo III, undicesimo figlio del duca di York, capitolo finale della casata sconfitta dai Tudor. Gli esami del Dna hanno dato il loro responso. La scienza ha consentito di prelevare un campione genetico dai resti e di metterlo a confronto con il profilo di un mobiliere canadese residente a Londra, Michael Ibsen, diretto discendente di Anna di York, sorella di Riccardo III. «Ormai, lo possiamo dire, al 99,9 per cento, è proprio lui», ha confidato al Sunday Times Philippa Langley, membro della «Richard III Society». Quando, nel 2012, gli archeologi chiesero il permesso di scavare nel centro di Leicester, città che è nel cuore dell’Inghilterra, pensavano ad altro. Non al Plantageneto cresciuto nello Yorkshire, divenuto duca di Gloucester, incoronato il 6 luglio 1483 a Westminster. Pensavano piuttosto di andare alla ricerca di un antico convento distrutto nel Cinquecento, volevano e ne erano sicuri che saltassero fuori le fondamenta della chiesa francescana. Ma è accaduto il più classico degli imprevisti. Buttando all’aria la colata di cemento e scavando un po’ hanno visto quello scheletro con i segni evidenti di una sofferenza spinale, con i segni di una lama conficcata in un gamba e con il cranio che mostrava l’affossamento per un colpo ricevuto. Era morto in battaglia Riccardo III, la battaglia di Bosworth Field il 22 agosto 1485 contro l’esercito dei Lancaster guidato da Enrico Tudor. Il futuro Enrico VII. Che fossero proprio di Riccardo III le ossa intrappolate nella terra per cinque e più secoli sotto il parcheggio? Da almeno tre anni gli archeologi dell’università di Leicester sostenevano che sarebbe stato possibile rinvenire le testimonianze dello scontro armato fra l’ultimo degli York e il primo dei Tudor. E che forse anche i resti di Riccardo III erano lì, nonostante dalle tradizioni arrivasse il racconto delle spoglie fatte bruciare da Enrico VII. Avevano ragione? Gli esami del Dna, pur lasciando una lievissima porta aperta al dubbio, sciolgono il giallo: lo scheletro è di Riccardo III. Non che tutti siano d’accordo. Ad esempio il professor Mark Horton dell’università di Bristol è scettico: «Il Dna non è la panacea che risolve i misteri storici». E non si fida. Più sicuro Mike Pitts del «Council for British Archeology» che al Guardian dichiara: «I test scientifici aggiunti alle evidenze storiche offrono risposte attendibili». Il dibattito è aperto. Poi, c’è chi già invoca solenni funerali di Stato per quelle ossa. Li chiede il parlamentare conservatore Chris Skidmore. Forse troppo entusiasta della scoperta. Ma è certo che, una volta superate le diatribe accademiche, Riccardo III troverà degna tumulazione: sarà nella cattedrale di Leicester, proprio di fronte al parcheggio che lo ha tenuto sepolto dal 1485. Fabio Cavalera LA NERA STORIA DEL RE CHE SHAKESPEARE CHIAMO’ «GRUFOLANTE CINGHIALE» - A stare a come la mette Shakespeare, Riccardo III fu un terribile Jago, che, però, a differenza di quello della tragedia di Otello, non vuole solo portare alla rovina quelli che odia, ma mira egli stesso al comando supremo. Dunque, malvagio, crudele, spregiudicato e delittuoso usurpatore dei diritti anche dei più stretti congiunti, simulatore e fraudolento: insomma, «un grufolante, contraffatto cinghiale, segnato dal diavolo», e per di più gobbo, deformità fisica indizio di quella morale. Ma questa versione della storia di Riccardo III, di cui consociamo le fonti, difficilmente può essere accettata tale e quale, facendo dell’ultimo re inglese della Casa di York la personificazione di quel machiavellismo di orribile maniera, allora corrente nel teatro elisabettiano. Non è mancata, infatti, qualche revisione di quella nera immagine e di riabilitazione di una personalità storica, la cui azione fece registrare un quasi completo insuccesso. La nera storia di un re deforme e cattivo non è diventata una semplice leggenda ed è rimasta, appunto, una nera storia, anche se di lui si è detto che fosse addirittura giusto e imparziale, sosteneva le università e faceva donazioni alla Chiesa. Sono aggrovigliati anche i fatti in cui quell’azione si esplicò. Riccardo era nato da Riccardo Plantageneto, duca di York, e da Cecilia Neville, una delle più potenti famiglie della maggiore aristocrazia inglese, nel 1452 nel castello di Fotheringay, nel Northamptonshire, dove nel 1586 fu portata Maria Stuart, giustiziata l’anno dopo. Poco si sa della sua infanzia, trascorsa nel castello di Middleham, nel Nord dello Yorkshire, presso lo zio Riccardo Neville, conte e poi duca di Warwick, così influente nelle lotte di allora intorno al trono inglese da essere denominato the Kingmaker. Questa atmosfera familiare di potere e di lotta per il potere poté e dové influire sulla personalità del giovane principe, ultimo di undici fratelli. Quando nel 1461 uno dei fratelli divenne il re Edoardo IV, Riccardo, nominato duca di Gloucester, grande ammiraglio e primo conestabile (cioè capo dell’esercito) a vita, poté iniziare la sua ascesa. I tempi consentivano le mire più alte. L’Inghilterra era uscita molto provata dalla conclusione della cosiddetta «guerra dei cento anni» (1337-1453), in cui aveva perduto tutti i domini dei suoi sovrani in Francia, conservandone soltanto la città di Calais. Più grave ancora fu che Riccardo duca di York, il padre di Riccardo III, prendesse subito a rivendicare il trono contro il re Enrico VI. Inutile cercare in questa contesa un filo rosso di diritti più o meno ineccepibili o di una determinata idea politica. Fu una fase della storia inglese che non si può giudicare sul metro della storia posteriore del Paese. La «guerra delle due rose» per il trono fra gli York (rosa bianca) e i Lancaster (rosa rossa) fu una guerra dinastica di stampo ancora medievale, con tutte le efferatezze di una lunga guerra civile senza quartiere. Riccardo dimostrò di essere all’altezza di questo stile e tenore di lotta. I delitti imputatigli sono numerosi, e, anche se non sono tutti credibili, ne restano sempre abbastanza per non ritenere congrua per lui la candida rosa che era nel suo emblema. In ultimo, fatti dichiarare illegittimi i suoi due nipoti, nel 1483 Riccardo divenne re, ma già nel 1485 fu sconfitto da Enrico Tudor (Enrico VII) e perdette il trono e la vita. La rosa rossa dei Lancaster finì così col vincere, ma un matrimonio fra una principessa di York e il nuovo re sancì la pace. Coi Tudor, Enrico VII e il figlio Enrico VIII, il paese poté cominciare una storia nuova, ricca anch’essa di travagli, ma risoltasi uno dei maggiori successi della storia moderna. Giuseppe Galasso