Luca Ricolfi, La Stampa 4/2/2013, 4 febbraio 2013
PROMESSE DA MARINAIO
D’accordo, l’informazione ha le sue leggi e tutti oggi parleremo di «proposte shock» di Berlusconi. Ed è pure vero che l’idea di una letterina del ministro dell’Economia (Berlusconi stesso) che ti dice di andare in banca o all’ufficio postale a riprenderti i soldi che hai appena versato per l’Imu sulla prima casa è nuova e stuzzicante. Però non si può non osservare che i propositi che Berlusconi ha annunciato ieri in conferenza stampa a Milano non sono affatto nuovi, e in realtà non fanno che riprendere le cose che da un paio di settimane sta ripetendo il suo consigliere economico più ascoltato, l’ex ministro Renato Brunetta.
Vediamo dunque di che cosa si tratta, prima di scioccarci troppo. Ridotto all’osso, il ragionamento economico del centro-destra (ma anche, in parte, della lista Giannino) è il seguente.
Primo. La pressione fiscale, oggi vicina al 45% del Pil, va ridotta di 5 punti in 5 anni, per portarla al 40% nel 2018. Questa operazione costa alle casse pubbliche 16 miliardi il primo anno, 32 miliardi il secondo, 48 miliardi il terzo, 64 miliardi il quarto, 80 miliardi il quinto, quando finalmente l’obiettivo di una pressione al 40% del Pil sarà stato raggiunto e il sistema potrà andare a regime.
Secondo. Dove trovare gli 80 miliardi? Nella riduzione della spesa pubblica, che dagli attuali 800 miliardi dovrà ridursi del 10% in 10 anni, ossia scendere di 16 miliardi il primo anno, di 32 il secondo, di 48 il terzo, di 64 il quarto, e finalmente (?) di 80 l’ultimo.
Terzo. I beneficiari dell’alleggerimento della tasse dovrebbero essere per metà i produttori e per metà le famiglie. Come? Eliminazione dell’Irap, detassazione degli utili di impresa, eliminazione dell’Imu sulla prima casa, aliquote Irpef più basse, in particolare sulle famiglie numerose (il cosiddetto quoziente familiare).
Quarto. Lo stock del debito pubblico va abbattuto con massicce dismissioni del patrimonio dello Stato e degli Enti locali, tassando i capitali illegalmente detenuti in Svizzera, e mediante emissione di obbligazioni garantite dallo Stato.
Il presunto «annuncio shock» di ieri sta tutto dentro questo disegno di politica economica, rispetto a cui è solo la classica punta dell’iceberg. E’ quel che il venditore accorto mostra al popolo, mentre il vero programma del centrodestra, il programma completo, pur essendo perfettamente pubblico (i dettagli sono usciti da tempo sui quotidiani) resta in secondo piano. Vediamo dunque l’intero iceberg che avanza.
E’ sensato il programma del centro-destra?
Per provare a capirlo, conviene partire dalle obiezioni che riceve. La prima è che si tratta di un programma iper-liberista, vagamente thatcheriano. L’obiezione è più che giusta, ma potrebbe anche deporre a favore del programma: dopotutto Margaret Thatcher e Ronald Reagan fecero ripartire due economie che si erano completamente sedute. Molto si può e si deve discutere dei costi sociali dei programmi liberisti, ma è difficile non riconoscere che se non ci si accontenta di ridistribuire la ricchezza ma si vuole anche che torni a crescere - quella di ridare ossigeno a chi produce ricchezza è una delle poche idee sensate in circolazione.
La seconda obiezione è che gli italiani hanno buona memoria, e che non si faranno ingannare dalle sciocchezze che Berlusconi ricicla per l’ennesima volta. Temo che chi prova ad autotranquillizzarsi con questa osservazione non conosca bene né Berlusconi né gli italiani. Berlusconi ha una capacità di apparire concreto che agli altri leader difetta completamente, e gli italiani hanno buona memoria per tutto, non solo per Berlusconi. Gli elettori, ad esempio, ricordano perfettamente l’immobilismo di Tremonti, gli impegni non mantenuti di Berlusconi, ma ricordano altrettanto bene la stangata fiscale del governo dei tecnici, o la litigiosità dell’ultimo governo Prodi. Se l’esito delle elezioni non è ancora deciso, e Berlusconi può permettersi il lusso di ripropinarci le solite cose, è perché la nostra delusione coinvolge tutti, non solo una parte politica.
Resta l’obiezione più importante: il programma del centro-destra non è attuabile, Berlusconi non potrà mantenere le promesse che fa.
Questa mi pare l’obiezione più seria. Il programma che abbiamo riassunto all’inizio è del tutto irrealistico in alcune coperture, ad esempio nell’entità delle dismissioni del patrimonio pubblico, o nelle stime dei proventi dell’accordo con la Svizzera sui capitali illegalmente esportati. Ma è irrealistico soprattutto sul piano politico. E il bello è che è stato Berlusconi stesso, pochi giorni fa in tv, a spiegarci perché il suo piano era inattuabile (e aggiungo io, perché inattuabili sono anche i piani più ambiziosi dei suoi avversari). Al giornalista che, di fronte al solito elenco di impegni futuri, giustamente gli chiedeva «ma come mai le cose che promettete oggi non le avete già fatte ieri, quando eravate al governo?», Berlusconi rispondeva candidamente: ma è ovvio, con il bicameralismo perfetto, con gli attuali regolamenti parlamentari, con i poteri limitatissimi che l’attuale Costituzione gli concede, nessun presidente del Consiglio può attuare i suoi propositi. Lui lo ha detto per giustificare il passato, ma così ha automaticamente sottratto credibilità al futuro che ci prospetta.
Di questa possibile obiezione (più che sensata, e a mio parere decisiva) non v’è traccia nel programma di centro-destra, che l’intrepido Brunetta pensa di attuare fin dal 2013.
E pensare che, proprio perché quel programma è estremamente incisivo e una sua logica la possiede, quella obiezione di Berlusconi dovrebbe essere al centro del dibattito politico. Chi pensa che l’Italia, come un paziente grave, abbia bisogno di interventi radicali e dolorosi, siano essi quelli proposti dai liberisti o quelli più ermeticamente suggeriti dai loro avversari, dovrebbe porsi seriamente il problema del consenso necessario per avviarli. In questi lunghi anni c’è stato un solo momento, una sola finestra di opportunità, in cui il paziente sarebbe stato disposto a sottoporsi al doloroso intervento di cui aveva bisogno. Quel momento è stato il primo semestre del governo Monti, in cui la gente aveva capito la gravità della situazione, e i partiti non osavano fiatare, ipnotizzati dall’autorità del Professore.
Ma quel momento, purtroppo (e per me inspiegabilmente), è stato sciupato, o meglio è stato colto solo per somministrarci la solita, la più facile ed antica delle medicine: il salasso fiscale. Ora il tempo è passato, quella consapevolezza non c’è più, e chiunque voglia davvero cambiare l’Italia dovrà prima di tutto ricostituire quella consapevolezza. Un’operazione difficile, perché - su questo la penso come il «conservatore» Nichi Vendola - per cambiare le cose, per portare la gente a sperare e a credere di nuovo nel futuro, non bastano le promesse da marinaio degli imbonitori di destra, di sinistra e di centro, né le tabelle dei loro uffici studi, ma ci vuole un racconto, una meta comune verso cui tendere, un sogno che valga la pena di essere sognato, o forse un ricordo che alimenti quel sogno. Anziché insegnarci a odiare l’avversario, i nostri politici dovrebbero forse riflettere su quel che scriveva Antoine de Saint-Exupéry, l’autore del Piccolo Principe: «Se vuoi costruire una barca, non radunare uomini per tagliare legna, dividere i compiti e impartire ordini, ma insegna loro la nostalgia per il mare vasto e profondo».