Claudio Del Frate, Corriere della Sera 04/02/2013, 4 febbraio 2013
«UN ACCORDO CON BERNA? SERVIREBBERO 4 O 5 ANNI. VA MESSO IN CONTO ANCHE UN REFERENDUM» —
Sottoposta a un «crash test», l’idea di Berlusconi di finanziare il rimborso dell’Imu attraverso la tassazione dei capitali italiani in Svizzera va subito a sbattere contro il muro di Lugano. «Mi sembra una proposta del tutto onirica, soprattutto perché viene da un ex premier il cui ministro dell’Economia ha sempre visto come il fumo negli occhi un patto fiscale con la Svizzera»: Paolo Bernasconi, ex procuratore capo di Lugano, docente universitario e grande esperto di dinamiche finanziarie internazionali non crede evidentemente alla favola dell’uovo di Colombo; e dubita che un nodo rimasto insoluto per anni possa sciogliersi con una frase lanciata dalla tribuna di un comizio.
Eppure, non era la Svizzera a volere per prima la pax fiscale con l’Italia? «Cinque o sei anni fa — risponde Bernasconi — il patto sarebbe stato firmato in un batter d’occhio. Non se ne è fatto nulla e nel frattempo in Svizzera purtroppo (e sottolineo purtroppo) è cresciuto un sentimento anti italiano che non fa ben sperare».
Passiamo all’esame dei numeri: i 4 milioni di gettito dell’Imu sarebbero sostituibili tassando gli esportatori di capitali in Svizzera? Quando Berna trattava con la Germania, si diceva che Berlino avrebbe incassato almeno 2 miliardi di euro l’anno...
«Le cifre al momento sono completamente aleatorie: non sappiamo qual è l’ammontare dei patrimoni italiani in Svizzera, non sappiamo quale aliquota verrà loro applicata, possiamo piuttosto prevedere che molti soldi, alla notizia di una possibile tassazione, lasceranno la Svizzera per raggiungere altri lidi. Ma prima ancora di questi calcoli esiste un problema tempo che rende la proposta di Berlusconi debole».
Sarebbe?
«Ammettendo che le delegazioni elvetica e italiana raggiungano un accordo al più presto, occorrerebbe l’approvazione da parte del Parlamento. Ma c’è una larga parte dell’opinione pubblica svizzera contraria ai patti fiscali. Dunque dobbiamo mettere in conto una raccolta di firme e un referendum a cui l’accordo con l’Italia sarà sottoposto. Un referendum, vista l’aria che tira, dagli esiti molto incerti. Al tirar delle somme, nella migliore delle ipotesi Roma non vedrà i primi soldi da Berna prima di 4 o 5 anni».
Ma la firma tra i due Stati non sembrava ormai a un passo? Non era la Svizzera per prima a caldeggiarla?
«In realtà Berna aveva avanzato alcune richieste chiave che non avevano ancora trovato risposta. Ne cito una su tutte: la possibilità per le banche elvetiche di entrare sul mercato italiano, ipotesi davanti alla quale l’Abi aveva sempre risposto no. E con la situazione attuale di molti istituti di credito della penisola, ve le vedete le banche italiane reggere l’urto della concorrenza svizzera?».
Qualcosa evidentemente è cambiato, se Berlusconi adesso si mostra così ottimista sulla possibilità di raggiungere un accordo a breve. O no?
«È quello che mi domando anch’io. Vorrei proprio sapere come mai se ne esce con la proposta di ieri dopo che, in tutti gli anni in cui è stato al governo, è stato sempre detto il contrario; basta ricordare la parole pronunciate contro la piazza finanziaria di Lugano dall’allora ministro Tremonti, al punto che la Svizzera era stata mantenuta dall’Italia nella black list dei paradisi fiscali».
Claudio Del Frate