Federico Rampini, la Repubblica 4/2/2013, 4 febbraio 2013
LA FINE DI AMERICAN SNIPER IL SUPER CECCHINO DEI SEALS UCCISO IN UN POLIGONO
I suoi compagni dei Navy Seals lo battezzarono con ammirazione “il diavolo di Ramadi”. Aveva ucciso 255 nemici in Iraq. Chris Kyle era il cecchino più micidiale d’America. È andato a morire vicino a casa sua, in Texas. Come una qualsiasi vittima nell’escalation della violenza armata che insanguina l’America. È caduto così, pochi giorni dopo avere attaccato Barack Obama pubblicamente per le sue proposte di restrizioni alle vendite di armi. “American Sniper”, la sua autobiografia da tiratore scelto, era stata un best-seller.
A 38 anni aveva l’aureola dell’eroe nazionale. Non è servita a nulla per proteggerlo, così come è stata inutile la sua suprema abilità nel maneggiare fucili ad alta precisione. È proprio in un poligono di tiro che il destino gli ha dato appuntamento. L’assassino è già stato arrestato dalla polizia: Eddie Ray Routh, 25 anni, anche
lui veterano dell’Iraq, ha colpito a morte anche un’altra vittima, Chad Littlefield. «Il movente del delitto ancora non ci è chiaro », ha dichiarato ieri il sergente Lonny Haschel del Texas Department of Public Safety. È accaduto tutto in pochi minuti, sabato pomeriggio al club di tiro a segno di Glen Rose, vicino alla città di Fort Worth. Una storia come tante, e questa davvero non farebbe notizia — troppo esiguo il numero delle vittime rispetto alle altre sparatorie che finiscono sui bollettini quotidiani — se non fosse per la vittima eccellente.
È quasi una nemesi storica: il Superman degli spari ad alta precisione condannato a una morte così stupida e banale, ucciso da qualcuno che certamente non sapeva maneggiare le armi con la sua stessa maestria. Proprio ieri una striscia satirica di Doonesbury sembrava un commento feroce — e involontario — alla fine di American Sniper. «Nel 2001 fummo attaccati — dice il protagonista del fumetto di Garry Trudeau sul
Washington Post
— e tremila persone morirono. Come reazione cominciammo due guerre sanguinose, la costruzione di un imponente apparato anti- terrorismo, migliaia di miliardi di spese. Durante quegli stessi anni, 270.000 americani sono stati uccisi sul territorio nazionale in episodi di violenza armata. Come reazione abbiamo allentato le nostre leggi sulle armi».
Kyle era politicamente schierato: dalla parte della lobby delle armi. In una recente intervista aveva denunciato le proposte di Obama: «Che nessuno cerchi di togliermi le mie armi, sarebbe contrario al Secondo Emendamento
della Costituzione». Una posizione diffusa in tutta la destra repubblicana, e non solo quella. Ma detta da Kyle, quella frase di sfida alla Casa Bianca aveva un’autorevolezza speciale.
Eroe decorato e osannato per le sue gesta al fronte, lui stesso si compiaceva della sua fama. «I nostri nemici in Iraq misero una taglia su di me. Il Diavolo, quel nomignolo furono loro per primi
a coniarlo per me». In Iraq aveva svolto quattro turni di combattimento, meritandosi due medaglie Silver Star. Era stato membro dei Navy Seal, il leggendario corpo speciale i cui commando furono protagonisti dell’uccisione di Osama Bin Laden. Ritiratosi dalla Us Navy nel 2009, aveva una sola pecca agli occhi dell’establishment militare: quel libro di successo, con cui si era raccontato e così facendo aveva squarciato il velo di segretezza che circonda le operazioni dei Navy Seal. «E’ vero — ammise lui in un’intervista a
Time—
quel libro non è stato molto gradito. Ma non l’ho scritto per glorificare me stesso, non volevo vantarmi del numero di persone che ho ucciso, il mio scopo era descrivere i sacrifici che fanno i militari, e
dietro di loro i sacrifici delle loro famiglie».
Uccidere non gli era stato facile all’inizio, secondo la confessione del libro. «La prima volta non ero sicuro di poterlo fare. Poi impari a guardare il tuo bersaglio senza pensare che è una persona. Non pensi che può avere una famiglia. Devi solo pensare alla sicurezza dei tuoi. Ogni volta che uccidevo un nemico, quello lì non avrebbe potuto far saltare in aria con l’esplosivo un convoglio dei miei compagni. Non puoi pensarci due volte». Tra le gesta più estreme che racconta nel libro, l’uccisione a distanza di una donna che trasportava un esplosivo, e al tempo stesso aveva in braccio un neonato. Una sola volta esitò, e il dito non premette il grilletto del fucile ad alta precisione. Fu quando nel cannocchiale a raggi infrarossi gli apparve un bambino, nel quartiere Sadr di Bagdad. «Trasportava un lanciamissili — scrive Kyle — e noi abbiamo precise direttive di uccidere a vista chiunque abbia un lanciamissili. Quel giorno no, non riuscii ad ammazzare un bambino».
La tv Nbc lo
aveva scelto come arbitro in un reality show vagamente guerrafondaio: un concorso dove i candidati gareggiano in massacranti esercitazioni militari. Per lui era giusto farlo. «L’opinione pubblica americana — disse Kyle — vive in un mondo di sogni. Voi civili non avete idea di cosa accada dall’altra parte del mondo, non sapete tutto il male che quelli possono farci». Non aveva capito il male ancora più terribile, che gli americani riescono a infliggere a se stessi.