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 2013  febbraio 04 Lunedì calendario

LE TOPPE NEI BILANCI DEL MONTE PER COPRIRE IL BUCO DI ANTONVENETA


C’è un filo che lega tutti i vari pezzi dell’inchiesta della procura di Siena su Antonveneta. Un filo che tiene insieme l’acquisto di Antonveneta, il famigerato Fresh, le operazioni Santorini e Alexandria e la «Banda del 5%» degli uomini di Gianluca Baldassarri. Filoni che intrecciano e in alcuni punti si sovrappongono, spiega una fonte investigativa, che aiuta a ricostruire tutta la vicenda.

Il nodo dei pagamenti Per comprare Antonveneta, Montepaschi paga 9 miliardi di euro. Nei contratti tra Mps e Santander vengono fissate una serie di clausole che fanno lievitare il prezzo finale. Intanto, paga cash, con una serie di bonifici che partono da Siena verso Amsterdam, sede di Abn Amro. Più interessi che decorrono tra l’annuncio dell’operazione e il closing finale. Si tratta di 267 milioni di euro, che comprenderebbero anche altri oneri e commissioni. Montepaschi si impegna anche a subentrare, sempre con versamenti in contanti, nelle linee di prestito interbancario concesse da Santander ad Antonveneta. Per questi rimborsi, i subentri partono da Siena verso Madrid e Londra in più tranches, tra il 30 maggio 2008 - giorno del closing - il 31 marzo e il 30 aprile del 2009, circa un anno e mezzo dopo l’annuncio dell’operazione. Anche sulle linee di credito Mps paga gli interessi. Fanno altri 250 milioni di euro che escono dalle casse della banca. Questi interessi più i 267 del pagamento principale fanno oltre 500 milioni e rappresentano una delle «anomalie» dell’affare Antonveneta su cui sono in corso approfondimenti.

Il Fresh
Per reperire le risorse, Montepaschi lancia un aumento di capitale da 5 miliardi più un altro miliardo raccolto con il Fresh - la metà lo compra la Fondazione Mps -, un titolo subordinato simile a un bond ma computato come capitale. Almeno formalmente. Nell’ottobre del 2008, Bankitalia chiede delle modifiche al regolamento per renderlo più simile al «vero» capitale. Un hedge fund protesta. Nel marzo del 2009 un’assemblea dei sottoscrittori approva le modifiche al regolamento. Ma dalle carte dell’inchiesta spunta una lettera, che garantirebbe il mantenimento delle condizioni precedenti. Quel titolo non si sarebbe dovuto computare a bilancio come capitale, ma come debito, appesanntendo i conti del Monte e rendendo l’operazione Antonveneta di fatto impraticabile. E siamo alla prima toppa sul buco Antonveneta.

Alexandria e Santorini
La ristrutturazione di Alexandria, nel 2009, porta un beneficio in bilancio di 220 milioni. Il problema è che non vengono iscirtti gli oneri per la banca nei 30 anni successivi, pattuiti con Nomura. A fine 2009 Mps, grazie al trucco contabile di Alexandria, chiude il bilancio con un utile di poco più di 150 milioni di euro e paga una cedola di un centesimo per le sole azioni di risparmio. Poca cosa, ma sufficente a pagare gli interessi sul Fresh del 10 per cento, come da garanzia «occulta» rilascita agli invesittori. Circa 100 milioni. E’ la seconda toppa messa per tenere in piedi il castello di carta costruito per comprare Antonveneta.

La Banda del 5 per cento
A trattare con Nomura e con le altre banche d’affari per costruire e smontare i contratti sui titoli strutturati c’è sempre lui, Gianluca Baldassarri. Per più di dieci resta nella stessa posizione, capo dell’area finanza. Secondo gli esiti degli accertamenti, lui e altri due banker del suo desk avrebbero scudato negli anni circa 40 milioni di euro. Come? Facendo la cresta sulle operazioni che passavano per Mps. Facevano la cresta e probabilmente l’hanno fatta per anni. Praticamente senza controllo, arrivando a costruire una sorta di banca nella banca.

Nessuno controlla perché Baldassarri era bravo e quando serviva era come Mister Wolf: risolveva problemi, vedasi l’operazione Alexandria e il regolamento del Fresh. E’ la terza toppa, ma il buco Antonveneta, complice la crisi mondiale, è sempre più largo. E i rammendi non bastano più.