Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Domani si vota, è l’ora del silenzio
Siamo in silenzio elettorale. Si vota fra due giorni ed è chiaro che che un sacco di gente non ha ancora deciso per chi votare domani. Lo dicono anche gli istituti di ricerca, che per il resto non possiamo citare. Il sociologo Domenico De Masi dice che «l’indecisione fa parte delle caratteristiche del genere umano. E noi italiani soffriamo di tutte le caratteristiche del genere umano, anche se pensiamo di essere gli unici con questa pena. Negli Stati Uniti gli elettori si sono macerati sul dilemma tra Donald Trump e Hillary Clinton fino all’ultimo istante. In Italia c’è solo una componente in più di pseudointelettuali che complica tutto…».
• Dai comizi finali di ieri nessuna indicazione particolare?
La notizia di ieri è che è tornato a farsi vedere e sentire Beppe Grillo, che finora s’era tenuto lontano da palchi e microfoni. Il fondatore del M5s prima ha scritto un lungo post sul suo sito, e poi si è presentato all’appuntamento di Piazza del Popolo a Roma, piena a metà, dove c’erano tutti i big del Movimento, da Di Maio a Casaleggio. Grillo ha detto che «siamo rimasti soltanto noi e Forza Italia, il movimento si confronta con il più grande ed efficace spot pubblicitario dopo la Coca Cola di tutti i tempi. Ci siamo imposti con parole guerriere, mandare a casa una casta occupante spazio. Adesso siamo qui, a confortarci con il lato più oscuro e nebbioso del carattere del nostro popolo. Diamogli l’ultima spallata».
• Perché Grillo non cita il Pd?
O perché considera il Partito democratico politicamente morto oppure perché non vuole escludere la possibilità per il M5s di entrare in un cosiddetto «governo di scopo» proprio con i democratici. Dal canto suo Renzi, intervistato ieri sera da Bruno Vespa, si è detto convinto che «i Cinque stelle faranno l’accordo con la Lega. Quindi, chi vota Cinque stelle si ritrova Salvini». Nello stesso tempo Salvini considera il M5s «fuori partita» e «sopravvalutato al Sud» (dove secondo gli esperti si potrebbe decidere molto). Per il leader del Carroccio la vera sfida è tra il centrosinistra e il centrodestra: «Adesso la gente scelga fra il futuro che è Lega e il passato che è Renzi. È un referendum, Renzi da una parte e Salvini dall’altra», ha detto da Milano, dove ha chiuso la campagna elettorale della Lega accanto al candidato per la Lombardia Attilio Fontana.
• Salvini contro Renzi? E Berlusconi non ha detto nulla?
Ieri è rimasto a Palazzo Grazioli, nella sua casa romana, dove ha ricevuto a pranzo Antonio Tajani, l’uomo che lui stesso ha indicato come leader del centrodestra nel caso in cui il centrodestra dovesse vincere e Forza Italia prendere più voti delle Lega. C’è da dire che l’entrata in scena di Tajani è stata accolta con scarsissimo entusiasmo dalle altre anime della coalizione. Per Salvini «è un buon presidente del Parlamento europeo e spero che continui a fare quello. Io ho una visione più netta sull’Europa». Perplessa anche Giorgia Meloni, che ieri ha parlato da Latina: «Tajani lo rispetto, ma io preferirei uno che in Europa sappia battere di più i pugni sul tavolo. E poi la candidata premier di Fdi sono io».
• Una protagonista a sorpresa di questa campagna elettorale mi è sembrata Emma Bonino, o sbaglio?
È vero. I suoi radicali rischiavano quasi di non partecipare alle elezioni per una complessa questione di regolamenti e firme, poi sono stato ospitati in lista da Tabacci. Il consenso della Bonino, partita dallo zero virgola qualcosa, è sembrato crescere di settimana in settimana, anche se non sappiamo in realtà quanto valga davvero +Europa, la sua lista. Potrebbe calamitare i consensi di chi è deluso dal Pd renziano ma non vuole dare il suo voto al di fuori del centrosinistra, così come potrebbe rosicchiare elettori al M5s. Renzi, quando ha accettato di averla in coalizione, sperava che non raggiungesse il tetto del 3% in modo che i voti dei radicali confluissero nelle liste del Pd. È molto probabile invece che il partito della Bonino superi quella soglia e a questo punto per il Pd è il caso di sperare che prenda più voti possibili, soprattutto sottraendoli alla sinistra di Leu e ai grillini.
• Ma alla fine che cosa rimane di questa campagna elettorale?
Pochissimi contenuti, molte grida, vecchi slogan riciclati e qualche scandaluccio già dimenticato. Come hanno sottolineato molto bene sul Corriere della Sera i due economisti Alberto Alesina e Francesco Giavazzi, in questi mesi i partiti si sono occupati di tutto tranne guardandosi però bene dall’affrontare con serietà i temi dai quali dipende il nostro futuro. Temi complessi come la demografia, cioè l’invecchiamento degli italiani, la crescita, il debito pubblico, i nostri rapporti con l’Europa. Le poche ricette nei programmi dei partiti sono aritmeticamente fantasiose se non impercorribili o si limitano a indicazioni vaghe. In questo scenario si è andato radicando soprattutto nelle aree moderate la convinzione che non sarebbe drammatico mantenere ancora Gentiloni a Palazzo Chigi, se non si trovasse una maggioranza. D’altra parte il suo governo, nato come precario, ha accompagnato il consolidamento della nostra economia, sfruttando un trend continentale. Anche l’Economist, l’autorevole settimanale inglese, ha scritto che «la figura di Gentiloni rassicurerebbe gli investitori».
(leggi)