la Repubblica, 3 marzo 2018
Il futuro nello zaino
Come pesa quello zaino. Per forza: c’è dentro una rivoluzione. Quella che Leonardo Previ, docente di Gestione delle risorse umane alla Cattolica di Milano, spiega nel saggio- pamphlet Dalla burocrazia alla zainocrazia, fra poco in libreria. Lo zaino, un tempo accessorio da saccopelisti poi sdoganato per professionisti e manager in primis da Prada a partire dagli anni Ottanta, oggi è divenuto pervasivo e ha pensionato borse e ventiquattrore. E adesso diventa metafora del profondo cambiamento che sta investendo il mondo del lavoro e delle sue opportunità più ottimistiche. Previ oppone «alla burocrazia, ovvero il potere della scrivania, la zainocrazia, fondata sull’idea che ogni persona sia un giacimento ambulante di risorse inesauribili. Ma se la deambulazione cessa, il giacimento si ritrae. Abbiamo un cervello così sviluppato perché serve a governare una capacità estremamente complessa: il movimento».
Doxa, che cura per il Politecnico di Milano l’Osservatorio dello Smart working, può offrire alcuni dati sul nomadismo professionale. «Oggi in Italia», spiega Renata Soru, «sono quasi 300mila i ‘ lavoratori agili’, ovvero coloro che godono di discrezionalità di luoghi, orari e strumenti di lavoro, con l’obiettivo di svolgere al meglio le proprie mansioni». Ovviamente non tutti i lavoratori agili sono gli zainocrati descritti dal saggio di Previ. Molti sono semplicemente degli sfortunati, spesso donne o precari, su cui le imprese hanno scaricato i risparmi in spese per gli uffici e per le dotazioni tecnologiche. Assoufficio, l’associazione di categoria dei produttori di mobili e dotazioni da ufficio, ha appena dedicato una giornata di studi all’evoluzione degli spazi di lavoro. Tra gli esperti, l’architetto Paolo Favaretto, che conferma: «i cambiamenti che ho visto negli ultimi anni, con uffici open space popolati di divani, pouf e chaise longue, cubicoli per telefonare in riservatezza, postazioni di lavoro simili ad alcove, sono quasi sempre dovuti al fatto che gli imprenditori non vogliono più spendere negli uffici e preferiscono soluzioni economiche e facilmente riadattabili. Anche se io non credo che chi lavora possa farlo solo con un laptop sulle ginocchia e una tazza di caffè in mano».
Intanto, ancora qualche dato che corregge il quadro: «I lavoratori agili sono persone assunte all’interno di aziende perlopiù medio-grandi e grandi, dislocate prevalentemente nel Nord Italia e, a sorpresa, in quasi 7 casi su 10 sono uomini con un’età media di 41 anni», specifica Vilma Scarpino, amministratore delegato di Doxa.
«Lo Smart working», osserva Previ, è una risposta che le imprese, soprattutto quelle molto grandi, si danno in seguito al processo di digitalizzazione; una delle conseguenze è ricaduta sulla centralità del luogo di lavoro perché lì erano custoditi gli strumenti del lavoro. Si tratta di una fase in larga parte conclusa. Quindi, sempre più spesso per andare in ufficio devo avere una buona ragione, e questa è essenzialmente che posso incontrarmi con gli altri. La convivialità è premessa alla cooperazione. Attraverso l’incontro generiamo valore».
Ma, sia che lavorino da casa o in ufficio, sia che siano spesso in viaggio, gli zainocrati sono una categoria trasversale. L’opposizione tra burocrate e zainocrate, fra ufficio e viaggio, più che lettera, è metafora che si sostanzia nel simbolo dello zaino. «Una presunta freccia evolutiva disegna il passaggio dall’agricoltura alla fabbrica, e infine all’ufficio: al contadino succede l’operaio, infine l’impiegato, ma si tratta di una falsa evoluzione, un’idea corrente che accettiamo per riflesso condizionato: perché mai l’impiegato sarebbe superiore al contadino? E in ogni caso, se in diecimila anni abbiamo compiuto il percorso dal settore primario al terziario, la nostra natura più vera e profonda è quella del periodo che chiamo “zerario”: gli oltre trentamila anni in cui siamo stati cacciatori e raccoglitori, dunque nomadi». Nella sedentarietà, Previ individua la situazione di lavoro delle «macchine banali, ovvero quelle macchine artificiali o umane che ripetono azioni standardizzate, procedure, risposte codificate a domande prevedibili, come un robot o un computer, o appunto un burocrate. Gli umani che vorranno continuare a essere macchine banali forse avranno più garanzie, ma difficilmente considereranno il lavoro come espressione di sé».
Il nomadismo teorizzato da Previ è innanzi tutto mentale. Indica flessibilità, disponibilità al problem solving attraverso lo sforzo collettivo, ad affrontare situazioni complesse con risposte create su misura, anche al momento. Una linea di pensiero che rivaluta l’improvvisazione e ridimensiona lo specialismo, e inevitabilmente integra il fallimento nell’itinerario verso la soluzione: «Le comunità che sanno organizzarsi per favorire la creatività», sottolinea Previ, «non hanno paura del fallimento e non pongono coloro che sperimentano nella condizione di temerlo. Serviranno sempre meno persone competenti e sempre più persone realmente interessate, appassionate a quello che fanno e disposte a correre il rischio di sbagliare». La prima parte del testo, infatti, è dedicata all’Ignorance, titolo del saggio di Stuart Firestein in cui si sostiene che la scienza è guidata dall’ignoranza, ovvero dalla necessità di porsi costantemente delle domande e di emendarsi di continuo. «Quindi la conoscenza precede l’ignoranza. Il burocrate si concentra su quello che sa, lo zainocrate su quello che ignora. Si fida più delle domande che delle risposte». Ovviamente, in questo quadro forzatamente positivo, il rischio è che le imprese ne approfittino per ridurre la zainocrazia a un taglio di costi. Qualcosa è stato fatto con il Jobs Act Autonomi del giugno scorso in cui, per esempio, vengono stabiliti per gli Smart workers, cresciuti dal 2013 a oggi quasi del 50 per cento, stesso stipendio e parità contrattuale con altri lavoratori, e il diritto di disconnessione dal lavoro in remoto. Ma molto resta da fare. E allo scenario Previ aggiunge almeno altri due punti chiave: la frugalità e la conversazione. La frugalità reale – indotta dal bisogno di viaggiare leggeri, perché tutto deve stare in uno zaino – diventa la frugalità metaforica di un etico risparmio delle risorse, e di uno stato di fame in cui il bisogno è stimolo alla ricerca di soluzioni.
La conversazione, le relazioni, sono fondamentali perché «l’ingegnosità collettiva è il principale motore della produzione di valore. Alla base di questi scambi c’è la fiducia, bene intangibile determinante per la coesione comunitaria». Pertanto lettura sussidiaria a Zainocrazia diventa il saggio della professoressa del Mit Sherry Turkle Reclaiming conversation The power of Talk in a Digital Age, in cui invita ad alzare gli occhi da smartphone e pad per incontrare quelli di chi ci sta di fronte.