Corriere della Sera, 3 marzo 2018
San Francisco cancella Colombo, ma la storia non si può ignorare
Che la figura storica di Cristoforo Colombo non goda di buona fama negli Stati Uniti è ormai un triste fatto di cronaca. L’accusa? Razzismo, colonialismo, addirittura stragismo. In una vera furia iconoclasta, nel corso del 2017 le statue del navigatore genovese sono state danneggiate a Chicago (dove è comparsa la scritta «stragista» con la vernice rossa). A New York anche il sindaco Bill de Blasio – proprio lui di chiare origini italiane – ha avuto il cattivo gusto di prenderne le distanze in quanto «simbolo di odio». Mentre a Los Angeles lo scorso agosto, complice un superficiale e populista revisionismo, è stato depennato il Columbus Day. L’ultima roccaforte rimaneva forse San Francisco, città talmente italo-americana che sulla Columbus Avenue si può ancora oggi entrare in un qualunque bar e ordinare un espresso in italiano. Il Columbus Day, arrivato alla 149esima edizione, è anche la più antica parata civile della città. Ma ora approfittando della recente e improvvisa scomparsa del sindaco Ed Lee, grande amico della comunità italiana, il comitato che governa temporaneamente la città ha cancellato con un blitz il Columbus Day trasformandolo in un «Indigenous people day». Gli italo-americani stanno ora cercando di far passare un compromesso: la soluzione proposta, che verrà votata in questi giorni, è «Italian heritage and indigenous people day». Speriamolo, anche perché andrebbe ricordata la storia: il navigatore scoprì l’America (peraltro fermandosi in realtà ai Caraibi), ma i vantaggi economici andarono per secoli alla Spagna. Colombo fu in effetti il primo degli «startupper» italiani che avendo una grande idea ma non trovando i capitali in casa andò a cercarli all’estero dalla venture capitalist ante litteram Isabella di Castiglia. Senza difendere Colombo subiremmo il danno senza aver goduto dei benefici.