il Fatto Quotidiano, 3 marzo 2018
Nuova Zelanda 1981: Elisabetta doveva finire come Kennedy
Il 14 ottobre 1981, durante una visita ufficiale in Nuova Zelanda, la regina Elisabetta d’Inghilterra si trova a Dunedin, una città nell’isola del Sud. Si sta avvicinando alla piccola folla di sostenitori – circa 3500 persone – quando si sente un rumore che somiglia a un colpo d’arma da fuoco. La polizia minimizza: è caduto un segnale stradale. Poi cambia versione: qualcuno ha voluto celebrare la visita reale facendo esplodere dei fuochi d’artificio.
Ma la recente pubblicazione di documenti finora classificati racconta una storia decisamente più imbarazzante per il governo neozelandese: tanto che le autorità per 36 anni hanno insabbiato la verità. Il rumore era quello di un colpo d’arma da fuoco esploso da Christoper Lewis, 17 anni ossessionato dai reali, anti-monarchico e deciso a eliminare Elisabetta con il suo fucile calibro 22. Lewis viene individuato e arrestato assieme a due presunti complici; nel suo appartamento la polizia troverà ritagli di giornale e una mappa dell’itinerario della visita reale a Dunedin. Interrogato, il minorenne sostiene di aver ricevuto l’ordine di uccidere da un uomo soprannominato the Snowman, (pupazzo di neve), che avrebbe tentato di arruolare Lewis nelle fila del gruppo inglese neonazista National Front.
Qualunque sia la verità sul tentato omicidio, le autorità fecero di tutto per coprirla: mai indagato per terrorismo o tentato omicidio. Lewis fu ricoverato in una clinica psichiatrica. Morì suicida alcuni anni dopo in prigione, dove era finito per l’omicidio di una donna. Accanto al cadavere, una autobiografia in cui descriveva così gli interrogatori successivi all’attentato: “Mi dissero che se avessi parlato di quello che era successo avrei sofferto un destino peggiore della morte”.