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 2018  marzo 03 Sabato calendario

La candidatura di Tajani indispettisce l’Europa

Anche se ha risolto in extremis il problema di Forza Italia, che ha corso fin qui con il nome di “Berlusconi presidente”, fingendo di ignorare che l’ex-Cavaliere è incandidabile e non potrebbe guidare o far parte di un governo, la candidatura alla premiership di Antonio Tajani dev’essere necessariamente guardata da un altro punto di vista: quello, appunto, dei suoi colleghi di Strasburgo che il 17 gennaio 2017 lo avevano eletto sullo scranno più alto dell’Europarlamento. L’annuncio della “disponibilità” di Tajani a correre per la guida del governo in Italia tra l’altro inaugurerà un inedito e non breve periodo di mezzadria, in cui il candidato magari continuerà a prestare la sua opera a Strasburgo a mezzo servizio, in attesa di sapere se la prospettiva di andare a Palazzo Chigi sia o meno concreta. Un comportamento come questo verrà attribuito tout court all’Italia, perché in sede europea l’attribuzione delle cariche è insieme politica e geografica, e dal momento in cui era stato eletto, oltre a ricoprire una delle principali responsabilità nel complicato intreccio di poteri dell’Unione, Tajani incarnava proprio la scelta del nostro paese per l’ambita poltrona.
Per l’attribuzione della quale, non va dimenticato, la corsa era stata a due, tra lo stesso Tajani e un altro italiano, il capogruppo socialista Gianni Pittella: anche lui sulla strada del ritorno, come candidato per il Senato nella sua Basilicata, dove il fratello Marcello è presidente della Regione. Il doppio abbandono, di Tajani e Pittella, darà in Europa un segnale della considerazione in cui viene tenuto l’impegno politico a livello comunitario rispetto a quello nazionale, anche se ovviamente peserà di più l’addio annunciato del presidente dell’Europarlamento, prima della fine del mandato che scade l’anno prossimo. A differenza del suo predecessore Martin Schultz, che quando decise di tornare in Germania per correre come avversario della Merkel, di cui adesso sarà alleato nella Grande coalizione, aveva ultimato il suo compito.
Nella Prima Repubblica a lungo l’elezione a Strasburgo era stata considerata, in modo abbastanza provinciale, come una specie di pre-pensionamento dalla politica. Ma negli ultimi anni, nell’epoca della moneta unica, e viste anche le difficoltà dell’Italia, considerato paese sotto osservazione da Maastricht in poi, Bruxelles e Strasburgo sono diventate nevralgiche per qualsiasi governo membro dell’Unione. Tajani se non altro, se dovesse farcela a diventare presidente del consiglio, potrà dire di avere sviluppato in questi anni una professionalità specifica, anche se dovrà scontare il risentimento eurocratico per il suo repentino abbandono.