La Stampa, 3 marzo 2018
La tassa sugli insetti scatena la guerra tra le tribù del Congo
In Europa gli insetti sono la nuova frontiera alimentare. Seppur con scetticismo, giorno dopo giorno gli amanti del «novel food» (scorpioni, grilli, lombrichi) sono in aumento. In Asia e Sudamerica fanno, invece, parte da anni della dieta alimentare di milioni di persone. In Africa, addirittura, sono considerati una leccornia, tanto da ammazzarcisi per il controllo della raccolta e della vendita. Nella regione di Tanganyika, Nord-Est della Repubblica Democratica del Congo, l’entomofagia non è una scelta cool, bensì una delle uniche forme per aggiungere proteine al precario sistema alimentare. Fritti, bolliti, essiccati in salsa di pomodoro, i lombrichi vengono mangiati da milioni di congolesi, sia nelle zone rurali del Paese, che nei ristoranti chic della capitale Kinshasa. Un alimento che non solo riempie gli stomaci, ma che garantisce anche entrate alle migliaia di venditori ambulanti messi in ginocchio da un’economia al collasso dopo oltre trent’anni di guerre civili.
La posta in palio è alta. Lo hanno capito i Luba, etnia bantu che vive nella regione del Tanganyika, decisi ad arricchirsi con il minimo sforzo. «Raccogli vermi fin da piccolo e da grande sarai ricco» dice un proverbio locale. Ma non sono i soli. Nella stessa area, grande quanto Valle d’Aosta, Liguria e Piemonte messe insieme, vivono i Twa, volgarmente detti pigmei, considerati selvaggi e primitivi dagli stessi congolesi, e soprattutto rinomati per essere divoratori di deliziosi spiedini di lombrichi, unica fonte di approvvigionamento dato che vivono isolati nella foresta. In passato, oltre a mangiarne, vendevano ai Luba parte di quello che rimaneva per guadagnare qualcosa. Fino a quando, l’etnia bantu, ha deciso di imporre la «Caterpillar (lombrico in inglese) tax», un’imposta illegale sul territorio, che costringe i pigmei a dare una percentuale della vendita ai bantu. C’è da dire che tra le due etnie non è mai corso buon sangue, così, i Luba, che considerano i pigmei invasori della loro terra, hanno deciso unilateralmente che non si possono permettere di mangiare e vendere lombrichi senza pagare dazio.
Una decisione che ha portato allo scontro totale ed alle prime vittime. Secondo l’organizzazione per i diritti umani Human Rights Watch, dal 2016 ad oggi i morti sarebbero almeno 250 senza contare le migliaia di persone in fuga dalle proprie case. «Il numero delle vittime potrebbe essere superiore – ha scritto in un rapporto Human Rights Watch – ma le autorità locali stanno ostacolando il nostro lavoro di ricerca cercando di negare il terribile massacro che si sta compiendo». Il mancato intervento ha trasformato una disputa in una vera e propria guerra e delle più crudeli, come spesso avviene a queste latitudini d’Africa. Due esattori bantu sarebbero stati trafitti dalle frecce avvelenate dei pigmei. Immediata la rappresaglia dei Luba che hanno attaccato ed incendiato numerosi villaggi. Decine di persone sono state fatte a pezzi con asce e machete. Una scia di sangue proseguita con assalti e imboscate in una serie infinita di ritorsioni reciproche che hanno portato il bilancio delle vittime a crescere giorno dopo giorno.
«Ero nella capanna assieme ai miei due figli quando ho sentito urlare mio marito: “scappa, scappa!”. Ho capito subito cosa stava succedendo, così ho preso i bambini e sono fuggita nella foresta. Da lì ho visto degli uomini con indosso amuleti circondare mio marito, hanno infierito più volte su di lui fino a tagliargli i genitali e a farlo a pezzi» ha raccontato una donna pigmea a Human Rights Watch, una delle poche organizzazioni impegnate a documentare le violenze che stanno sconvolgendo il Tanganyika. Una regione già al collasso per le migliaia di sfollati che, negli ultimi anni, ha dovuto accogliere dal Nord e Sud Kivu, dove si è combattuta tra il 1998 e il 2003 la «Seconda guerra del Congo», una conflitto che ha causato 6 milioni di morti.