Corriere della Sera, 3 marzo 2018
Dalla Calabria l’ok per uccidere il reporter
BRATISLAVA S’era procurato una cartina della Calabria, Jan Kuciak. Con una mappa delle cosche. L’aveva trovata in un libro sulla ‘ndrangheta e in fondo alla sagoma della regione, sulla punta dello Stivale, aveva cerchiato due righe a pennarello: «Bova-Palizzi. Talia, Vadalà-Scriva». Sul cellulare del giornalista era anche memorizzato il numero d’uno di loro, Antonino Vadalà, col traffico dati che racconterebbe una serie di telefonate.
Qualche giorno prima dell’uccisione, c’era stato anche un viaggio fino laggiù: una ricerca di conferme, per l’inchiesta che Kuciak stava per pubblicare? O addirittura un appuntamento col possibile assassino?
Jan adesso è all’obitorio, e oggi ci saranno i funerali. I tre Vadalà sono in prigione assieme agli altri quattro calabresi, e oggi si decide se ci resteranno. Il libro è nel materiale sequestrato dalla polizia slovacca, e se ne stanno spulciando gli appunti a margine: un po’ tardi, forse. Nel 2013, destinazione Reggio Calabria, da Bratislava era partita una richiesta d’informazioni sulle ricchezze di questi imprenditori italiani, spuntati a Trebisov e dintorni. E la Dda reggina aveva risposto, spiegando ai colleghi slovacchi come la ‘ndrangheta reggina si divida in tre mandamenti – Reggio, lo Ionio e il Tirreno – e su questa mappa i Vadalà, i Rodà, i Catroppa non fossero dei parvenu. Tutt’altro: Condofuri e la sua frazione Gallicianò, paesini d’alcuni degli arrestati, ospitano ‘ndrine che hanno un ruolo importante. E che sono molto abili anche all’estero, avvertivano gli investigatori italiani, nell’imporre imprese agricole acchiappa-contributi: proprio quelle su cui aveva messo gli occhi Kuciak.
Tutte queste informazioni, date cinque anni fa, perché sono state ignorate? Eppure questa libertà di movimento, concessa ai calabresi «slovacchi», per la Dda aveva un solo significato: a Trebisov si lavorava pesante. E oggi fa pensare agl’investigatori che l’omicidio del reporter, comunque avallato da una cupola calabrese che nulla mai trascura, sia stato organizzato in Slovacchia: «A Reggio sapevano che cosa stava per accadere, ma nessuno ha messo dei veti». Che interessi c’erano dunque in gioco, per arrivare addirittura a sparare, accettando il rischio di questa improvvisa, sgradita pubblicità mondiale? Chi indaga, si dà due risposte possibili: 1) i clan sapevano di poter contare sulle coperture nel governo slovacco, tanto che nessuno ha cercato la fuga nella vicinissima (ed extracomunitaria) Ucraina; 2) come si vide coi tedeschi per la strage di Duisburg del 2007, la ‘ndrangheta in Europa riesce ancora a rappresentarsi come un fenomeno limitato solo a qualche rozzo pastore emigrato.
«Se il giornalista slovacco aveva iniziato le sue indagini in Calabria – spiega una fonte italiana —, è in Calabria che bisogna lavorare per capire chi l’ha ucciso». Puntando i fari, più ancora che sui sette arrestati, sulla cerchia dei loro familiari e conoscenti. Capendo chi s’è mosso nelle ultime settimane sull’asse Reggio-Bratislava, monitorando gli ingressi dall’Ucraina, le telecamere sulle autostrade dall’Austria e dalla Polonia, il traffico passeggeri di stazioni e aeroporti… Un’indagine enorme, anche in un Paese così piccolo.
Sempre che s’indaghi a fondo, ben inteso. Ros e Sco italiani non hanno ancora ricevuto i fascicoli dalla Slovacchia. E il capo della polizia, Tibor Gaspar, ha dovuto smentire ufficialmente che ci sia poca collaborazione coi colleghi stranieri. È un fatto, però, che nemmeno all’ambasciata italiana sia stato ufficialmente comunicato dove sono detenuti i sette accusati del delitto. E che il procuratore di Bratislava abbia vietato allo stesso Gaspar di dare qualsiasi dettaglio su un’inchiesta che arriva fino al primo ministro. «Fico dimettiti!», urlano migliaia di persone in piazza Hviezdoslav, quando cala il buio. Arrivano nel gelo al palazzo del governo, scuotono con forza i cancelli, mostrano le foto desnude della collaboratrice-amante del premier Robert Fico, che era in affari coi calabresi. Ieri, la bella Maria è finita sotto scorta. Il suo Fico s’è barricato, a tenere in piedi un traballante governo. Tacciono tutt’e due.