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 2018  marzo 03 Sabato calendario

Manuel Valls tra Renzi e sinistra europea. «Con i vecchi partiti non si vince»

PARIGI È la promessa mancata del progressismo francese, spazzato via dal ciclone Macron. «Sono rimasto prigioniero della mia storia, avrei dovuto andarmene prima dal partito e dal governo.
Non l’ho fatto per senso di responsabilità» racconta Manuel Valls seduto in un café del quartiere Bastille. L’ex premier abita non lontano da uno dei bar attaccati dai terroristi durante la notte del Bataclan. Sguardo duro e nervoso, il filo di barba è l’unico cambiamento apparente della nuova vita da semplice deputato.
Molti ricordano la famosa foto dei leader in camicia bianca a Bologna. Valls insieme a Matteo Renzi, lo spagnolo Pedro Sanchez, l’olandese Diederik Samson. Era il 2014, un secolo fa. Di quell’immagine dei “nuovi progressisti europei” l’unico rimasto alla ribalta è l’italiano.
Valls e Renzi sono arrivati al governo nella primavera 2014 e se ne sono andati nel dicembre 2016.
«Non ci sentiamo da tempo» dice l’ex socialista francese preoccupato per l’esito di questa domenica che concentra sia il voto in Italia che quello dei militanti Spd in Germania. È stato a Roma qualche settimana fa per un seminario alla Luiss. Segue da vicino le elezioni, non solo perché parla la nostra lingua, la mamma è svizzera del canton Ticino. «Siete un laboratorio, nel bene o nel male».
Renzi avrebbe dovuto fondare un suo movimento, in stile Macron, abbandonando il Pd? «Sì, ho fatto lo stesso errore». Valls era stato candidato alle primarie, rimanendo stritolato dalla mischia dei socialisti. Quale lezione ne ha tratto? «La socialdemocrazia, e i partiti che l’hanno incarnata, appartengono al passato». Oltre al morente Ps, cita il Psoe in Spagna, il Pvda in Olanda, «un tempo fortissimi e oggi ridotti a briciole». Proprio quelli che erano sulla cartolina scattata a Bologna. Valls sottolinea le tante risposte che i progressisti non sono riusciti a dare sulla globalizzazione, l’immigrazione, l’aumento delle disuguaglianze, la minaccia degli islamisti. «La destra – prosegue l’ex premier – resiste meglio perché è più flessibile, adattabile.
Lo vediamo in Germania, dove Merkel ha inglobato molti argomenti dei suoi avversari». In Francia il nuovo segretario dei Républicains, Laurent Wauquiez, punta a sedurre l’elettorato di Marine Le Pen. E Berlusconi, conclude Valls, si è piegato a fare accordi con Salvini e Meloni. «Può essere conveniente sul piano elettorale – osserva – non è detto che funzioni per governare».
L’ex premier non è più nel partito socialista, non ha preso la tessera di En Marche! anche se è dentro alla maggioranza. «L’elezione di Macron è stato un miracolo, e lo dico da laico» dice con fair play, riconoscendo al Presidente quarantenne la «capacità di incarnare un nuovo dinamismo».
Valls avverte però il rischio di un esercizio del potere «brutale e troppo solitario» del giovane leader. «È una tentazione che c’è sempre”. Racconta una visita a Palazzo Chigi, nella quale l’allora presidente del Consiglio Renzi gli aveva mostrato orgogliosamente la stanza vuota un tempo utilizzata per la concertazione con i sindacati. «Guai – commenta – a pensare che non ci sia bisogno dei corpi intermedi per governare».
“La gauche rischia di morire” era stata la sua profezia in una polemica intervista all’Obs. Valls ha governato contro la fronda interna dei deputati Ps. «Tutte le questioni lasciate marcire dentro al partito ci sono improvvisamente esplose in faccia». Da quando il Ps è stato escluso dal ballottaggio delle presidenziali nel 2002, spiega, il partito si è rifiutato di analizzare le cause della disfatta. I socialisti hanno preferito “cavalcare l’antisarkozysmo” senza immaginare che cosa significasse costruire una “gauche di governo”. Il riferimento a François Hollande, uomo di compromessi, è evidente. «Vedo che la sinistra italiana attraversa gli stessi tormenti anche se i dissidenti fuoriusciti dal Pd come D’Alema o Bersani non sono estremisti. È come se da noi – aggiunge con un punta di malizia – se ne fossero andati Fabius e Aubry».
Macron è un modello esportabile?
«È un movimento personale, difficile da replicare. L’unico paragone possibile è con Ciudadanos» dice Valls che in questi mesi è stato spesso nella casa di famiglia a Barcellona e si è impegnato pubblicamente nel fronte contro gli indipendentisti.
«Almeno lì mi vogliono bene» ironizza. Si vede che la sconfitta brucia ancora e pesa lo smarrimento nel nuovo paesaggio stravolto della politica francese.
«Ho pensato di abbandonare tutto ma forse la mia esperienza può essere ancora utile. In fondo ho solo 55 anni». Fa una pausa. «Fino a non molto tempo fa, era un’età giovane per la politica».