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 2018  marzo 03 Sabato calendario

Majano, il re dei teleromanzi con il pallino della letteratura

Richiesta di descrivere Anton Giulio Majano in tre parole, Loretta Goggi (protagonista de «La freccia nera») lo ricorda così: «Colto, burbero, e proustiano. Era un grande appassionato di letteratura e trasmise la sua passione per i romanzi di ogni tempo a milioni di italiani. Era un po’ austero, ma aveva un grande ascendente… E poi era del Cancro, le persone di quel segno sono legate al passato, un po’ proustiane».
Ma chi era veramente Anton Giulio Majano? Nato a Chieti il 5 luglio 1912, Anton Giulio Majano inizia gli studi a Roma e li completa a Modena, come allievo dell’Accademia Militare, dalla quale uscirà ufficiale di cavalleria. 
I suoi principali interessi di questo periodo sono i cavalli e la letteratura. Scrive e pubblica due romanzi e collabora regolarmente, con i suoi racconti, alle diffusissime riviste «Le grandi firme», «La lettura» e «L’illustrazione italiana». 
L’entrata in guerra dell’Italia (1940) lo trova in Africa, comandante degli Spahis. Rientrerà in Italia, in tempo per partecipare alla Resistenza, al comando di formazioni partigiane in Abruzzo. 
Nell’ultima fase del conflitto, organizza a Bari un programma radiofonico «L’Italia combatte», che manderà in onda fino a liberazione avvenuta, spostandone la redazione verso il Nord, col progredire del fronte.
Nel dopoguerra, dopo alcuni anni di attività giornalistica e radiofonica, gira il suo primo film «Vento d’Africa», 1919; l’ultimo, «I fratelli còrsi», è del ‘63. In tutto AGM firma undici film che spaziano attraverso diversi generi, dalla commedia di gusto neorealista («La domenica della buona gente», con Sophia Loren) al «lacrima noir» («Una donna prega»), dal thriller catastrofico («Terrore sulla città»). 
All’avvento della tv, «inventa» e realizza, con «Piccole donne» (1955) da L.M. Alcott, il teleromanzo a puntate, un nuovo genere di spettacolo destinato a un immediato e straordinario successo. 
Da allora in poi i teleromanzi di Majano si susseguono numerosi, segnando tappe decisive nella storia della televisione italiana: «L’alfiere» (1956), «Jane Eyre» (1957), «Capitan Fracassa» (1958), «L’isola del tesoro» (1959), «I figli di Medea» (1959), «Ottocento» (1959), «Una tragedia americana» (1962), «Delitto e castigo» (1963), «La cittadella» (1964), «David Copperfield» (1965), «La fiera delle vanità» (1967), «La freccia nera» (1968),»E le stelle stanno a guardare» (1971), «Marco Visconti»(1975), «Il signore di Ballantrae» (1979), «L’eredità della priora» (1980), «L’amante dell’Orsa Maggiore» (1982). È stato anche il regista della fortunata serie d’azione «Qui squadra mobile» (1973 e ’76).
Come ha scritto Mario Gerosa nel libro «AGM. Il regista dei due mondi» (Falsopiano editrice), la più importante biografia consacrata finora al regista, «Quando parlava del suo modo di confezionare gradi classici televisivi, Anton Giulio Majano adottava colorite metafore gastronomiche. Lui, che per il grande schermo diresse Mastroianni, la Loren, Virna Lisi, Amedeo Nazzari, Walter Chiari…, che firmò la regia del Cantagiro …, che scrisse decine di soggetti e che realizzò centinaia di opere, per la radio, il cinema, il teatro e la tv, che stabilì le regole del teleromanzo, lui, che spesso fu tacciato di creare “polpettoni”, sosteneva di dover apparecchiare una ricchissima messa in scena, un atto che ripeté per decine di volte con estremo rispetto per il pubblico, l’ideale convitato alla sua tavola di regista». A chi lo accusava di confezionare dei «polpettoni», lui però ribadiva convinto: «Io ritengo che il teleromanzo debba avere il ritmo, l’ampiezza, l’apertura analitica del libro». 
Majano è stato l’interprete più fedele di quella tv delle origini che sognava di trasformare il nuovo mezzo in una sorta di «seconda scuola», in una biblioteca illustrata attraverso cui far conoscere tutte «le grandi firme» della letteratura mondiale. 
Con uno sguardo al sentimentalismo ottocentesco (le cui atmosfere vengono evocate attraverso sapienti dettagli, struggenti giochi narrativi ed enfatici finali) e con feconde intuizioni linguistiche (con cui realizza, spesso con mezzi artigianali, prodigiosi quadri televisivi), Anton Giulio Majano rappresenta felicemente l’ortodossia della regia televisiva nel teleromanzo, codificando quello che sarà per molto tempo un sicuro modello di riferimento.