Corriere della Sera, 3 marzo 2018
Stato di grazia
Ester e Gastone sono stati insieme per tutta la vita. Di sera in casa e di giorno a bottega, un negozio da parrucchiera alle porte di Firenze. Per cinquantaquattro anni. Erano diventati l’uno il figlio dell’altra, come talvolta capita alle coppie che non ne hanno avuti. Aggirata la boa degli ottanta, lei ha cominciato a non esserci più. Prima si è persa dentro discorsi senza senso. Poi ha rinunciato anche a parlare: si limitava a dondolare la testa e a cantare le nenie dell’infanzia. Gastone non ha mai smesso di accudirla. La imboccava quando rifiutava il cibo, la lavava quando non voleva essere toccata e reagiva con graffi e sputi al contatto con la spugna. Una mattina Ester, ritornata infine poppante, ha sbrodolato sul lenzuolo quel poco di latte che il marito era riuscito a farle ingurgitare. E lui si è sentito sovrastare da una forza troppo grande, che teneva insieme due sentimenti opposti: l’esasperazione e la pietà. Ha afferrato un cuscino e lo ha schiacciato contro la faccia di lei. Poi ha iniziato a contare.
«Una vita così la unn’ era più vita» ha detto in tribunale. Lo hanno condannato a 14 anni per omicidio. Ieri il presidente Mattarella gli ha concesso la grazia. Adesso Gastone uscirà di galera per andare a chiudere i suoi giorni in un centro della Caritas. Nessuno dica che è stato graziato un assassino. È stato graziato un uomo che non mi sentirei di imitare, ma nemmeno di giudicare. Soltanto di abbracciare.