Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Intorno all’annunciata riforma del mercato del lavoro, emergono a questo punto i seguenti problemi: che atteggiamento terrà il Partito democratico in Parlamento? Monti sceglierà di procedere a tutta velocità con un decreto legge o con tempi più calmi con una legge delega? La riforma è per caso applicabile anche agli statali, nel qual caso ci troveremmo di fronte al fatto enorme dei dipendenti pubblici licenziabili? Che accadrà se il Parlamento, invece di introdurre emendamenti nel senso desiderato dalle parti sociali, dovesse procedere peggiorando il testo («peggiorando» sempre dal punto di vista di Cgil-Cisl-Uil)? Può il governo cadere? Può il Partito democratico spaccarsi?
• Ha già fatto lei tutte le domande. Io le chiedo invece qual è il calendario a questo punto.
Ieri s’è riunito il direttivo Cgil e ha varato un pacchetto di 16 ore di astensione dal lavoro, otto delle quali da consacrare a uno sciopero generale. La data di questo sciopero generale verrà decisa più in là, per farla cadere nel momento culminante della battaglia parlamentare. Oggi pomeriggio governo e parti sociali si incontrano per discutere migliorie di dettaglio. L’altra sera Monti ha detto che non saranno apportate modifiche all’articolo 18, dunque dovrebbe essere escluso che il governo assegni al giudice anche la decisione relativa al licenziamento economico (se reintegrare o risarcire). E non dovrebbe esserci spazio nemmeno per la richiesta di Angeletti: il licenziamento per motivi disciplinari segua quanto è scritto – relativamente alla disciplina – nei contratti di lavoro. Domani infine c’è il consiglio dei ministri che varerà la riforma. Qui, come sa, la questione riguarda la forma: si varerà un disegno di legge delega, come chiede Bersani, in modo da prendersi altri due mesi-due mesi e mezzo prima del varo definitivo (e lasciando quindi spazio ad altre trattative) o si procederà a tutta velocità con un decreto legge? La proclamazione dello sciopero generale da parte della Cgil, ma senza fissare ancora la data, significa che anche la Camusso ha in realtà sospeso il giudizio e guarda con attenzione all’iter del provvedimento. Ieri si diceva che la materia potrebbe essere spacchettata, la parte che riguarda l’articolo 18 con una delega, il resto con un decreto legge.
Perché il Partito democratico dovrebbe spaccarsi?
Ieri Bersani ha detto: «La questione dell’articolo 18 bisognava affrontarlo alla tedesca, non alla americana e così è venuta fuori una cosa che non condivido. Diventeranno tutti licenziamenti per cause economiche e se anche fossero giudicate non veritiere, il datore di lavoro se la caverebbe con 15 mensilità, si squilibriano i rapporti di forza, non bisogna necessariemente essere Susanna Camusso per dirlo. Il Pd si prenderà la briga di correggere in Parlamento le cose che non vanno bene. Lei pensa che il presidente Monti possa dirci prendere o lasciare? Io non me lo aspetto». Resta che se Monti volesse procedere con un decreto e poi magari mettere la fiducia, il Pd si troverebbe a una svolta cruciale: decidendo di votare contro, spalancherebbe la porta all’area moderata – quella guidata dal vicesegretario Enrico Letta – che probabilmente uscirebbe dal partito spaccandolo. Infatti ieri Letta ha escluso un voto negativo dei democratici, mentre Cesare Damiano e Rosy Bindi non sono dello stesso parere. La Bindi, che è presidente del Pd, ha dichiarato: «Il governo è sostenuto da forze politiche diverse e penso che il governo e il presidente del Consiglio possano andare avanti se rispettano la dignità di tutte le forze politiche. Servono modifiche profonde». Il governo, obiettivamente, ha messo la sinistra in croce. Il Pdl, infatti, rilascia dichiarazioni di pieno appoggio.
• Com’è la storia degli statali?
Dal Dipartimento della Funzione pubblica è uscito un comunicato in cui si sostiene che lo Statuto dei lavoratori si applica a questo punto anche agli statali. Angeletti ha subito ricordato che la legge 300 (dove è contenuto lo Statuto dei lavoratori) ha riguardato finora solo i lavoratori del privato e che di un’estensione al pubblico non si è mai parlato. Bonanni e la Camusso sono dello stesso parere: nel settore pubblico salari, regolamenti, disciplina sono regolati con leggi apposite. In serata una nota del ministero della Pubblica amministrazione ha precisato: «Solo dopo la definizione del testo che riguarda la riforma del mercato del lavoro si potranno prendere in considerazione gli effetti che essa potrebbe avere sul settore pubblico». Quindi questa novità non è ancora esclusa.
• Che accadrà se il Parlamento, invece di introdurre emendamenti nel senso desiderato dalle parti sociali, dovesse procedere peggiorando il testo?
È una buona domanda. Bonanni e Angeletti hanno dichiarato ieri di aspettarsi migliorìe alla Camera e al Senato. «Siccome non c’è un testo firmato dalle parti…». Che era il metodo che si seguiva una volta e che metteva la Camera e il Senato di fronte al fatto compiuto e immodificabile. Ora: avrebbe senso uno sciopero da parte del sindacato se il Parlamento – sovrano, a questo punto, secondo l’opinione di tutti – decidesse di emendare il testo della legge in un senso sgradito ad Angeletti-Bonanni-Camusso? Monti, sancendo la fine dell’era concertativa, ha messo i sindacati su un sentiero irto di contraddizioni.
• Napolitano ha invitato a considerare la riforma nel suo complesso e non soffermandosi soltanto sull’articolo 18.
53 esperti di Bologna, Torino, Milano e Roma contestano che la riforma contenga le novità annunciate nella conferenza stampa dell’altra sera. L’obbligo di assumere un lavoratore dopo 36 mesi di precariato è già previsto dall’articolo 5 comma 4 bis del decreto legislativo 368 del 2001. L’obbligo di reintegro anche nelle piccole aziende per i licenziamenti discriminatori sta nell’articolo 3 delle legge 109 del 1990. Secondo questi professori (Romagnoli, Mariucci, Alleva, Gallino ecc.), il governo o è «disinformato» o è «spregiudicato».
[Giorgio Dell’Arti, La Gazzetta dello Sport 22 marzo 2012]