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 2012  marzo 22 Giovedì calendario

GLI INTELLETTUALI TEDESCHI E LA CRISI DELL’EUROPA

Mi chiedo di frequente dove sono gli intellettuali tedeschi e che posizione prendono rispetto alla situazione europea. Temo che siano stati schiacciati da una opinione pubblica sorda ed eticamente indifferente alla ricerca di posizioni di forza per ora solo economica.
Fiorenzo Contin
continn@tin.it
Caro Contin, anch’io ho l’impressione che il dibattito sulla crisi e sul futuro dell’Europa sia meno vario e vivace in Germania che negli altri maggiori Paesi occidentali. Non è un fenomeno recente. Qualcuno, negli scorsi anni, aveva già notato l’esistenza nella Repubblica federale di un «pensiero unico», soprattutto in materia di economia, rotto soltanto da improvvise polemiche sul problema delle comunità straniere. Ci fu il temporale della leitkultur (la cultura dominante a cui gli stranieri avrebbero dovuto adeguarsi). E ci fu quello provocato dalla pubblicazione di Deutschland schafft sich ab (la Germania cancella se stessa), il libro con cui il banchiere Thilo Sarrazin denunciava i pericoli dell’immigrazione. Ma dopo questi fuochi di paglia la maggioranza degli intellettuali tedeschi sembrava avere, soprattutto sul futuro dell’Europa, le stesse idee. Le ragioni sono probabilmente due.
In primo luogo le riforme di Gerhard Schröder (cancelliere socialdemocratico dal 1998 al 2005) e le scelte economiche fatte dal Paese nell’ultimo decennio del secolo hanno dato ottimi risultati. Senza rinunciare all’economia sociale di mercato, la Germania ha persuaso i sindacati ad accettare riforme importanti, ha arginato il fenomeno della delocalizzazione, ha conquistato nuovi mercati internazionali, è stata protagonista di un secondo miracolo economico. Quando le cose vanno bene, lo spazio per le dispute intellettuali si restringe. Guardandosi allo specchio la Germania vede il meglio di se stessa: laboriosità, disciplina, rigore finanziario. E guardandosi attorno vede soprattutto Paesi che versano in cattive o mediocri condizioni. Perché dovrebbe mettere in discussione le proprie scelte?
In secondo luogo gli intellettuali tedeschi hanno reagito con un certo patriottico fastidio al clima antitedesco che si è respirato in molti Paesi europei nel corso di questi ultimi mesi. Posso comprenderli. Certi confronti storici con l’arroganza della Germania hitleriana sono stati, oltre che inopportuni, fondamentalmente sbagliati. È vero che in parecchi momenti Angela Merkel è stata troppo lenta e prudente. Ma quale altro uomo di Stato europeo avrebbe reagito diversamente se il suo Paese fosse stato destinato a sopportare il maggior peso di qualsiasi salvataggio?
Le segnalo comunque, caro Contin, che due fra i maggiori «vecchi» del mondo intellettuale tedesco sono intervenuti nella crisi europea con vigore giovanile. Il primo, Hans Magnus Enzensberger, ha pubblicato a 82 anni un libro intitolato Sanftes Monster Brüssel (Bruxelles, un mostro soft) in cui denuncia l’esistenza di una macchina burocratica europea che vorrebbe uniformare l’intera Unione senza tenere alcun conto della straordinaria varietà della sua storia. Il secondo, Jürgen Habermas, ha pubblicato alla stessa età un lungo saggio intitolato Zur Verfassung Europas (per la costituzione dell’Europa) in cui sostiene che il governo dell’Ue sta sfuggendo alle mani dei popoli e che l’Unione ha bisogno di essere «ridemocratizzata». Nessuno dei due è localista, nazionalista, euroscettico. Credono nell’Europa e cercano di risvegliarne gli spiriti unitari.
Sergio Romano