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 2012  marzo 22 Giovedì calendario

La fine di Pasolini e Feltrinelli e le nuove favole dei complottisti - Ritornano sempre. Ritor­nano, infallibilmente, le tesi, i testi, i rituali con cui è stata costrui­ta, durante decenni, la versione politicamente corretta della real­tà culturale italiana

La fine di Pasolini e Feltrinelli e le nuove favole dei complottisti - Ritornano sempre. Ritor­nano, infallibilmente, le tesi, i testi, i rituali con cui è stata costrui­ta, durante decenni, la versione politicamente corretta della real­tà culturale italiana. Feltrinelli non morì, la notte del 14 marzo 1972,mentre a Segrate, nelle vici­nanze di Milano, tentava di sabo­tare con la dinamite un traliccio dell’alta tensione.Pier Paolo Paso­lini non fu assassinato a Ostia, la notte tra l’uno e il due novembre 1975, da Giuseppe Pelosi detto Pi­no la Rana, al tempo ancora mino­renne. La verità, si insiste, fu ben diversa, e occultata da una magi­st­ratura cieca o corrotta e da un’in­formazione asservita. Entrambi, l’editore e lo scrittore,furono vitti­me di biechi complotti reazionari e fascistoidi, orditi con tale diabo­lic­a abilità che l’uccisione di Feltri­nelli sembrò l’incidente sul lavo­ro d’un attentatore e l’uccisione di Pasolini fu contrabbandata co­me un fait divers , uno di quegli am­mazzamenti d’omosessuali di cui son gremite le cronache. A quarant’anni dalla fine del suo fondatore, la Feltrinelli ha pubblicato un opuscolo che ne ri­porta alcuni scritti e che ne rico­struisce l’itinerario umano e ideo­logico. Vi si ammette senza reti­cenze che Giangiacomo «creò nel 1970 i Gruppi d’azione partigia­na » e che questi «compirono alcu­ni attentati dimostrativi presso cantieri edili a Genova e a Mila­no ». Per quanto riguarda le circo­stanze della tragedia di Segrate questo testo è, bisogna riconoscer­lo, molto cauto e succinto. «Non sono mancate perplessità sulla notte di Segrate».La breve annota­zione è stata tuttavia arricchita e completata, con ben maggiore pe­­rentorietà, da una pubblicistica simpatizzante. Su Repubblica Si­monetta Fiori ha asserito che «a di­stanza di quattro decenni ancora non sappiamo come siano andate veramente le cose». L’indomani del fattaccio l’intellighenzia di si­nistra non aveva dubbi su come ve­ramente fossero andate le cose. Un gruppo di intellettuali- tra loro Camilla Cederna- firmò un docu­mento che qualificava l’accaduto come «una mostruosa provoca­zione » e che ridicolizzava le spie­gazioni delle forze dell’ordine. «Il solito staff dell’Ufficio politico del­la Questura di Milano, Allegra e Calabresi in testa con tutti i loro so­ci dietro ». Durante i funerali al Mo­numentale di Milano- ero presen­te come cronista del Corriere - ra­gazzotti spiritati ritmavano «ucci­dere un fascista non è peccato, compagno Feltrinelli sarai vendi­cato ». Onorare Feltrinelli è più che giu­sto. Per quei due colpi geniali che si chiamarono Dottor Zivago e Il gattopardo . ll suo nome deve re­stare in lettere d’oro nella storia letteraria italiana. Seppe resistere coraggiosamente al Pci, pronto a giustificare vilmente, con Mario Alicata, le pressioni e le intimida­zioni delle autorità sovietiche. Fu risoluto e anche all’occorrenza ci­nico. Cito dalla Storia d’Italia di Montanelli e mia una testimo­nianza di Valerio Riva, che di Fel­trinelli fu collaboratore. Riva rac­contò dì una telefonata allucinan­te tra Olga Ivinskaia, vedova di Pa­sternak pur senza certificato ma­trimoniale, e Giangiacomo. La donna insisteva per avere i suoi soldi, e l’editore avanzava una obiezione dopo l’altra, sempre più impaziente e nervoso. Finché era sbottato dicendole press’a po­co: «È mai possibile che tu m’infa­stidisca per un po’ di vile denaro, tu che hai la fortuna di vivere in una società socialista mentre io so­no q­ui a soffrire sotto il giogo capi­talista? ». Rimangono dubbi sulla vicen­da di Segrate? Si potè crederlo, con molta buona volontà, per qualche anno. Non più quando nel 1979,durante un processo per terrorismo, gli imputati lessero un comunicato firmato Renato Curcio, Giorgio Semeria, Augusto Viel. Esso recava: «Osvaldo (no­me di battaglia di Feltrinelli n.d.a.) non è una vittima ma un ri­voluzionario caduto combatten­do. Egli era impegnato in un’ope­razione di sabotaggio di tralicci dell’alta tensione... Fu un errore tecnico da lui stesso commesso, e cioè la scelta di utilizzare orologi di bassa affidabilità trasformati in timers». Occorre altro? A rinfrescare il ricordo di Pierpa­olo Pa­solini ha provveduto ultima­mente Emanuele Trevi con Qual­cosa di scritto (Ponte alla Grazie, pagg.246,euro 16,80) .Che Pasoli­ni non l’ha mai conosciuto ma che ha lavorato nel fondo a lui dedica­to, sotto la sferza iraconda di Lau­ro Betti che del pasolinismo era la turpiloquente vestale. Il romanzo di Trevi è divertente per le molte pagine dedicate proprio alla Betti che lui chiama la Pazza, e che da Pazza lo insultava come «zoccolet­ta ». Anche secondo Trevi Pasolini fu vittima d’un agguato di fascisti che lo massacrarono urlandogli «sporco comunista, frocio, caro­gna ». Il pentimento di Pelosi, do­po aver scontato nove anni e sette mesi di galera per un delitto del quale s’era sempre riconosciuto colpevole, è adesso preso molto sul serio: anche se poi Pino la Ra­na chiama dei morti a conforto del suo voltafaccia.Più d’uno ha visto nella conversione di Pelosi la con­ferma della ricostruzione che Oriana Fallaci fece a caldo, e che molte circostanze di fatto e am­bientali avevano demolita. Il sen­sazionale piace, l’idea che i nostal­gici del Duce siano immischiati in un misfatto piace anch’essa. E se ci si aggiungono gli accenni a Eu­genio Cefis in Petrolio la trama è perfetta. Pelosi ha sostenuto- nel­la vulgata più recente - che l’in­contro con Pasolini non fu casua­le, era stato fissato già da una setti­mana. Voglio essere puntiglioso, anche le minuzie hanno un loro peso in questi intrighi. Come mai allora Pasolini s’imbattè in Pelosi dopo aver pranzato, e assistette sorbendo una birra al suo abbon­dante pasto? Si vuole insomma che la somiglianza tra la fine di Pierpaolo Pasolini e quella di tan­ti­altri omosessuali sia una messin­scena irrilevante. Credibile è Pino la Rana, le cui doti di mentitore so­no conosciute. Come tanti altri, anch’io riconduco quella brutta storia alla sua banalità da Grand Guignòl, o piuttosto da film pasoli­niano sui ragazzi ragazzacci di vi­ta. Le fantasie torbide, anzi mala­te di Petrolio hanno la loro sintesi in quest sentenza: «Il cazzo è la so­la realtà ». Se ne può anche morire.