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 2012  marzo 22 Giovedì calendario

ORDINE, ISLAM: LE PRESIDENZIALI A UNA SVOLTA

ORDINE, ISLAM: LE PRESIDENZIALI A UNA SVOLTA - Come era prevedibile, le stragi di Tolosa e Montauban hanno drammaticamente stravolto la campagna elettorale francese.
Al di là del composto cordoglio dei pretendenti all’Eliseo, molti dei quali raccolti insieme ieri alle esequie dei militari uccisi, sono cambiati di colpo i contenuti del dibattito e le attese dei francesi.
Cambieranno probabilmente anche i sondaggi in base all’atteggiamento e all’esposizione mediatica dei candidati stessi, a cominciare da Nicolas Sarkozy, da quattro giorni in diretta televisiva, nella doppia veste di «padre» della Francia in lutto e candidato alla rielezione. Magari come primo flic e campione della sicurezza nazionale, il terreno su cui ha costruito le sue fortune: da quando, giovane sindaco, riuscì a liberare una classe di bambini tenuti in ostaggio da un bandito in una scuola di Neuilly-sur-Seine a quando, da ministro degli Interni, prometteva di ripulire le periferie in rivolta. È un fatto che il terrorista sia stato scovato in quarantotto ore.
Dopo essersi preoccupati per tasse, spread e disoccupazione e ascoltato distrattamente promesse e programmi, i francesi sono precipitati nell’incubo del terrorismo di matrice islamica e nell’angoscia dell’insicurezza delle loro case, delle loro scuole, delle loro città, persino delle loro caserme e dei loro soldati. Con lucida follia, il giovane jihadista ha centrato in un unico disegno tutte le problematiche e i nervi scoperti del Paese. Ha colpito la comunità ebraica, ha ucciso soldati, come lui di origine maghrebina e di religione musulmana, che come lui si chiamavano Mohamed, «colpevoli» di aver servito la Francia in Afghanistan, ha seminato velenosi presupposti perché il dibattito elettorale scivoli sulle maglie permeabili dell’apparato di sicurezza (il giovane erano noto alla polizia per precedenti penali e soggiorni in Pakistan e Afghanistan), sulla consistenza (e tolleranza) dell’islamismo radicale nelle banlieues, persino sul coinvolgimento della Francia nelle operazioni militari all’estero.
Il terrorista ha parlato di vendette e punizioni, ha voluto innescare nella sensibilità collettiva il germe della confusione fra Islam e terrorismo e rendere più fragili i rapporti fra le più grandi comunità ebraiche e musulmane d’Europa. Ce ne è abbastanza perché non sembri cinico o di cattivo gusto interrogarsi sugli effetti nella campagna elettorale. Il presidente Sarkozy ha rivolto un accorato appello a evitare strumentalizzazioni di ogni genere, ma è un’evidenza che i francesi non si esprimeranno soltanto sulla sua figura o sul bilancio della legislatura, bensì sulla sua credibilità come capo dello Stato e garante dei valori della Repubblica oggi minacciati. Così come è evidente che tentativi di comprensione sociologica della scia di sangue verranno interpretati come angelica debolezza o peggio complicità intellettuale. Un’evidenza che spingerà anche la sinistra sul piano inclinato della domanda di ordine, salvo candidarsi alla sconfitta. Puntualmente, Marine Le Pen, candidata del Fronte nazionale, chiama alla «guerra» contro i gruppi fondamentalisti religiosi che a suo dire prosperano sul suolo francese.
Gli effetti delle stragi di Tolosa e Montauban travalicano i confini della Francia, non solo perché le scelte elettorali dei francesi avranno un peso non secondario nelle scelte e nelle prossime scadenze degli europei. Il terrorista ha colpito valori di tolleranza, integrazione e dialogo religioso che appartengono alla cultura europea, ma che non tutti gli europei sono disposti a difendere. Soprattutto se investiti da un messaggio moltiplicatore di pregiudizi, rancori, diffidenze. Soprattutto se scoprono che la minaccia non viene da un altro pianeta e nemmeno da territori verso i quali si vorrebbero alzare nuove barriere, ma è un cittadino europeo, un francese di seconda generazione che uccide altri francesi di seconda generazione, un anonimo e insospettabile vicino di casa, inquilino in un quartiere dignitoso. Non c’è nemmeno bisogno di attribuirgli una straordinaria lucidità o intelligenza: la «banalità del male» di cui parla Hannah Arendt si nutre di meccanismi d’imitazione, propaganda, stereotipi, fantasmi. E forse anche di nostri errori e orrori, se ricordiamo le macerie dell’Iraq e dell’Afghanistan, le migliaia di vittime civili catalogate come danni collaterali, lo spregio della religione e le torture, le stragi di bambini, la fotografia di un gruppo di marines che urina sui cadaveri dei talebani.
Massimo Nava