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 2012  marzo 22 Giovedì calendario

LO SPORT ITALIANO IN MANO AI TIFOSI


C’ era una volta il Foggia di Signori, Baiano e Rambaudi. Qualche tem­po dopo, persa la brillantezza dei giorni migliori, conobbe il fallimento e da al­lora non è mai tornato quello di una volta. C’e­ra anche un Mantova dai grandi sogni: nel 2006 accarezzò fino all’ultimo l’idea di rivedere la Se­rie A; il crack societario avvenne da lì a tre an­ni.
Nove volte su dieci, la scintilla dell’azionaria­to popolare scatta qui: come reazione d’orgo­glio dei tifosi, che tentano di “riprendersi” la squadra, e in alcuni casi ci riescono. Il calcio schizofrenico fatto di illusioni milionarie e ca­dute vertiginose, quello non lo sentono loro. Nel 2010, poche settimane dopo il fallimento della vecchia società, il 25% del nuovo Man­tova è finito in mano a una cooperativa, il Man­tova United, che tra quote, sponsor e raccolte fondi ha messo a disposizione qualcosa come 250mila euro; fondamentali, per allestire un undici “ammazzacampionato” in serie D e pronto a rientrare in Lega Pro. Con il salto di categoria, la percentuale della cooperativa è scesa al 10%; un impegno comunque impor­tante. Pari a quello che l’associazione Squa­dramia mise nell’allora (era il 2009) Asd San­tarcangelo Calcio; i romagnoli sfiorarono pri­ma, e centrarono dopo, la storica promozione nel calcio professionistico, e si trovano oggi al punto più alto mai raggiunto in 85 anni di sto­ria. Un esperimento, quello di Squadramia, meno legato al territorio e più simile a un Fan­tacalcio reale, con i tifosi-presidenti pronti a suggerire via internet la formazione al mister. «In Italia non c’è ancora una mentalità pron­ta all’azionariato popolare - spiega il segreta­rio generale del Mantova United Glauco Ni­colini, citando i nomi altisonanti di Real Ma­drid e Barcellona (ma anche di club tedeschi e inglesi), in mano ai sostenitori delle rispetti­ve squadre - . È però un’esperienza che coin­volge il tifoso. Per esempio, gli fa accettare l’i­dea che il grande campione non si può avere a tutti i costi; deve pagarlo nel suo piccolo an­che lui». L’azionariato popolare, almeno in Italia, an­cora non “sfonda”; i 250 soci del Mantova U­nited sono briciole, in confronto agli oltre 4mi­la che nel 2005 fondarono lo United of Man­chester, a cui i lombardi si sono ispirati. Chi parte oggi, va detto, incontra più difficoltà: re­galare 100 euro alla propria squadra del cuo­re è sempre più un piccolo lusso che non tut­ti possono permettersi. In Emilia, la Coopera­tiva Modena Sport Club deve fare i conti. «Rac­cogliendo 3 milioni di euro entro giugno, anche tramite contri­buti di imprenditori, saremo in grado di gestire il 59% delle quote che un socio si è detto disposto a ce­dere », spiega Andrea Gigliotti, al vertice della cordata di tifosi. Altrimenti, si terran­no l’1% acquisito nel 2011. «Bisogna fare un passo alla volta - spiega il sostenitore gialloblu -. In Argentina e Spagna, Paesi che abbiamo co­me modelli, gli azionariati popolari hanno i­niziato con numeri bassissimi, come i nostri di oggi».
Per David Miani, di “Sosteniamo l’Ancona” (13mila euro raccolti e 2% di quote), «l’obiet­tivo principale è portare i valori dello sport, che non può essere solo un business». I cal­ciatori marchigiani (serie D), di tanto in tanto, visitano l’oratorio Don Bosco o fanno servizio alla mensa del povero. «Lo sport deve essere dei tifosi e della città - ribadisce Miani - . La parti­ta deve essere solo un momento, non tutto». I ragazzi di “MyRoma” (associazione con una quota minima nel club capitolino quotato in borsa, inversamente proporzionale alla pas­sione per i colori giallorossi) all’ultimo derby hanno accompagnato allo stadio 15 disabili, tra cui alcuni tifosi laziali.
Il Lucca United (206 soci) ancora non è entra­to nella neonata Fc Lucca, promossa mate­maticamente in serie D (la Lucchese, prota­gonista di un filotto di campionati in serie B ne­gli anni ’90, è precipitata in Terza Categoria e dichiarata fallita nei giorni scorsi). Non anco­ra, almeno: c’è un progetto per l’estate, sem­bra ben avviato. Proprio nella città toscana, sa­bato 24 marzo, si ritroveranno alcune delle 50 associazioni e cooperative italiane che spera­no di portare i tifosi all’interno delle società, o che questo sogno lo hanno già realizzato; po­trebbe essere il primo passo verso la nascita di una vera e propria Federazione degli aziona­riati popolari. Calcio, soprattutto, ma non so­lo: i 333 donatori del Trapanesi Granata ci mi­sero la passione - e quasi 50mila euro, pari all’8,25% delle quote - per dare solidità eco­nomica alla squadra di basket promossa in Le­ga Due. Non bastò. La nuova proprietà non ha voluto mollare i tifosi; ha continuato a coin­volgerli, lasciando a loro il 5%.
La Pallacanestro Trapani, ripartita dalla Divi­sione Nazionale C, quest’anno ha colleziona­to 25 vittorie su 25 partite. L’obiettivo è quello di tornare nella massima serie, abbandonata negli anni ’90. Se ci si riuscirà coinvolgendo u­na città intera, sarà davvero un grande gioco di squadra.
Quello della Pallacanestro Varese (in piena cor­sa per i play off), invece, non è un vero e pro­prio azionariato popolare ma una sorta di coo­perativa di aziende: il “Consorzio Varese nel Cuore” è composto da una sessantina di im­prese, anche di piccole dimensioni, con una quota associativa minima di 10mila euro. Un esempio, comunque, unico nello sport pro­fessionistico.