Giorgio Ponziano, ItaliaOggi 22/3/2012, 22 marzo 2012
Il cambio del camice pagato cash – I conti delle Ausl sono in rosso e la sanità pubblica arranca? Chi se ne frega, risponde l’Uil: ausilini di tutt’Italia unitevi, nella protesta
Il cambio del camice pagato cash – I conti delle Ausl sono in rosso e la sanità pubblica arranca? Chi se ne frega, risponde l’Uil: ausilini di tutt’Italia unitevi, nella protesta. Cosa vogliono i sindacalisti riminesi del sindacato guidato da Luigi Angeletti? Che il vertice dell’Ausl acconsenta a pagare a ogni dipendente col camice 15 minuti in più al giorno. Sì, col camice. Infatti il casus belli che sta sindacalmente terremotando l’azienda sanitaria della capitale italiana del turismo estivo riguarda il rito della vestizione. Il sindacato ha calcolato che per indossare il camice occorrono quindici minuti e siccome i dipendenti sono tenuti a presentarsi già pronti in reparto o in sala operatoria all’ora di inizio del lavoro ecco che il camice dev’essere indossato al di fuori dell’orario di lavoro e quindi quel tempo va retribuito extra. Con buona pace delle politiche dei tagli e del contenimento dei costi. Non si tratta di un’estemporanea levata di scudi del sindacato. Gli Angeletti-boys dell’Ausl di Rimini hanno già raccolto 300 firme di dipendenti col camice e si apprestano ad avviare una class action contro l’azienda sanitaria che si rifiuta di pagare i 15 minuti di straordinario. L’azienda ha fatto il conto: se dicesse sì dovrebbe sborsare 250 mila euro. Gli altri sindacati non cavalcano (per ora) la protesta. Ma la Uil si fa forte di una sentenza (primo grado) del tribunale del lavoro di Orvieto che ha sanzionato l’azienda sanitaria locale per non aver versato il corrispettivo in busta paga dei 15 minuti, anche lì diventati oggetto di controversia sindacale. Con gli arretrati, i dipendenti Ausl di Orvieto hanno ricevuto in busta paga, per mettersi il camice, 800 euro. Scrive nella sentenza il giudice Gianluca Forlani: «L’ente che si oppone al ricorso sostiene l’infondatezza della domanda sostenendo che le divise adottate possono essere indossate in tre o cinque minuti. Invece si deve tener conto del tempo necessario per raggiungere gli spogliatoi». E così, conclude il magistrato: «l’atto di indossare la divisa, antecedente all’inizio della prestazione, deve essere inquadrato non tra le pause bensì tra le attività preparatorie relative all’igiene della persona, perciò l’atto di vestizione in tale condizioni costituisce lavoro effettivo e dà diritto a retribuzione». Forte di questa sentenza l’Uil di Rimini s’è mobilitata: «Abbiamo inviato la richiesta alla direzione generale», dice Nicoletta Perno, a capo della rappresentanza sindacale unitaria dell’Ausl e segretario della Uil-Fpl, «ma non ci hanno risposto. Vogliamo il dialogo ma siamo pronti anche alla class action». Non solo. Il movimentismo uillino sta facendo vedere i sorci verdi al direttore dell’Ausl, Marcello Tonini, contestato anche per avere tagliato il doppio menù in mensa, dove ora è proposto il menù fisso («meglio tagliare quello», ha risposto ai sindacalisti, «che i servizi essenziali») e per non avere realizzato zone relax dove i dipendenti possano scaricare le tensioni lavorative. La Uil ha chiesto un incontro all’assessore regionale alla sanità per spiegare che con questo direttore generale le cose proprio non vanno bene. In vista della class action, la Uil sta raccogliendo documenti. Per esempio gli infermieri dell’ospedale Santa Maria di Terni hanno avuto un aumento di 650 euro l’anno, l’equivalente di 20 minuti (qui ci mettono 5 minuti in più_.), per indossare il camice. Perché Terni sì e le altre Ausl umbre no? Il bilancio della sanità umbra potrebbe perciò essere gravato di 28 milioni di euro: a tanto ammonterebbe l’ammontare da pagare a tutti i dipendenti con camice della regione. Spiega Marco Cotone, della Uil umbra: «È necessario un confronto a livello regionale con le istituzioni per dettare le linee da seguire e uniformare il comportamento delle varie aziende sanitarie. In ogni caso i lavoratori che vogliono chiedere il risarcimento, possono rivolgersi a noi, siamo a loro disposizione». La vertenza si allarga e incomincia a toccare anche Milano. All’ospedale Niguarda è in corso un braccio di ferro tra direttore e sindacato: la Rsu ha chiesto i 15 minuti, la direzione ha risposto che non ne occorrono più di sette per la vestizione e del rimborso non se ne parla. La battaglia del camice sta investendo le Ausl italiane: ce n’est qu’un dèbut continuons le combat.