Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2012  marzo 22 Giovedì calendario

Uno stipendio piccolo piccolo - Le retribuzioni di dirigenti, impiegati, operai – Sono anni che esplora il mondo degli stipendi e delle politiche retributive

Uno stipendio piccolo piccolo - Le retribuzioni di dirigenti, impiegati, operai – Sono anni che esplora il mondo degli stipendi e delle politiche retributive. Ma una gelata di questa entità, degna del film The day after tomorrow, Simonetta Cavasin non l’aveva mai vista. Il fenomeno che ha impressionato la general manager della società di consulenza Od&m (Gi Group) è il grande freddo che ha investito i salari degli italiani fra il 2007 e il 2011. Di fatto le aziende hanno bloccato tutti gli aumenti. Una frenata che in termini reali, tenendo conto cioè dell’inflazione, si è tradotta in una caduta delle retribuzioni. Di che misura è presto detto: gli operai hanno perso il 6,2 per cento di potere d’acquisto, gli impiegati il 2,4, i quadri intermedi quasi il 3 e i dirigenti il 4,4 per cento. Ecco per esempio che cosa è successo allo stipendio di un impiegato medio: nel 2003 veniva pagato poco meno di 22 mila euro lordi all’anno. Nel 2007, alla vigilia della grande crisi, il suo salario era salito a 25.340 euro con una crescita di oltre 3 mila euro. Dopo 5 anni la retribuzione è passata a 26.920 euro: apparentemente aumentata, ma considerando l’inflazione, di fatto ha perso il 2,4 per cento di potere d’acquisto. Un quinquennio a passo del gambero. Peggio è andata agli operai: nel 2003 prendevano 17.736 euro lordi all’anno. Cinque anni dopo ne guadagnavano quasi 4 mila in più. Poi la crisi, e il loro stipendio è «salito» nel 2011 di appena 500 euro. Un ritocco del 2,4 per cento. Ma considerando un’inflazione che nel periodo è stata pari all’8,7 per cento, l’operaio medio si è trovato con una paga reale più bassa del 6,2 per cento rispetto al 2007. Si capisce allora ancora meglio perché i consumi in Italia tornano ai livelli di 30 anni fa, la gente va meno in vacanza e non compra più automobili. Non ci sono solo gli aumenti del prezzo della benzina, i rincari delle tariffe, il ritorno della tassazione sulla prima casa, le addizionali regionali sull’Irpef (articolo a pagina 62), oltre alle migliaia di persone in cassa integrazione o in mobilità, a frenare la spesa dei consumatori. Ci sono anche milioni di stipendi bloccati e rosicchiati dal carovita. Un quadro intermedio ha ridotto in 5 anni il suo potere di acquisto di 1.400 euro, un dirigente di ben 4.500 euro. Di fatto, dal 2007 al 2011, un mese di stipendio se n’è andato in fumo. «Abbiamo un sistema di tassazione che penalizza chi ha un reddito fisso» sottolinea Mario Vavassori, docente di organizzazione e gestione delle risorse umane all’Università di Bergamo. «Se si vuole rimettere in moto il Paese, bisogna iniziare a ridurre le aliquote sul lavoro dipendente. Con un taglio, naturalmente graduale, di due punti i consumi di sicuro ripartono». Messaggio chiaro: va bene parlare di articolo 18 e di flessibilità, ma se il governo vuole la ripresa, deve rapidamente restituire potere di acquisto ai lavoratori. La fotografia di quello che è accaduto agli stipendi prima e dopo la crisi è stata scattata dalla Od&m, società specializzata in politiche retributive, su richiesta di Panorama: l’obiettivo era verificare in che misura la recessione ha influito sugli stipendi degli italiani. La scelta è caduta sulla Od&m perché nel suo database ci sono le paghe effettivamente percepite (comprensive anche della parte variabile, con l’esclusione solo degli straordinari) di 1,5 milioni di persone che lavorano in aziende grandi ma anche di medie e piccole dimensioni. Un campione quindi molto ampio e affidabile. La Od&m ha dunque preso in esame le retribuzioni di operai, impiegati, quadri e dirigenti, ne ha studiato l’andamento nel quinquennio della crisi e in quello precedente e le ha suddivise per fasce d’età. Il primo risultato che emerge è appunto il blocco generalizzato degli aumenti: «Dopo cinque anni in cui le paghe avevano corso ben più dell’inflazione» sottolinea Simonetta Cavasin «con operai e quadri che avevano visto i loro stipendi crescere di oltre il 21 per cento in termini monetari, contro un 8,4 per cento di inflazione, le aziende hanno reagito alla crisi congelando gli aumenti di merito e la parte variabile delle retribuzioni». L’impatto è stato più forte sui lavoratori giovani e su quelli anziani. I primi pagati di meno, perché l’aumento della disoccupazione li rende più disponibili ad accettare stipendi più bassi. I secondi premiati di meno, perché considerati meno strategici per il successo aziendale: un impiegato over 60 nel 2011 è stato retribuito in media 28.843 euro, 600 in meno rispetto allo stipendio del 2007. «E su questo punto bisognerebbe riflettere, perché, crisi o non crisi, con l’allungamento dell’età pensionabile le imprese devono trovare un modo per premiare e motivare anche i dipendenti ultrasessantenni» aggiunge Cavasin. La Od&m monitora anche le retribuzioni in Germania, Francia e Spagna. E i suoi dati smontano in parte alcuni luoghi comuni: «L’andamento degli stipendi in Italia è stato simile a quello registrato negli altri paesi. E a livello di retribuzione totale annua, non siamo molto distanti da Germania e Francia, mentre superiamo la Spagna. Il distacco emerge quando parliamo di netto, per colpa di un sistema fiscale che penalizza i redditi medi e medio-bassi». Per il futuro la Od&m vede ancora un 2012 grigio, mentre per il 2013 la società si aspetta qualche segnale positivo, in particolare per chi lavora nei settori del credito e dei servizi (commercio, turismo, internet). «Tuttavia, il tema che le imprese stanno affrontando» dice la manager della Od&m «è quello della meritocrazia. L’obiettivo è riuscire a premiare, in un contesto di risorse limitate, chi dà il contributo più alto. Il premio di risultato, previsto dalla contrattazione di secondo livello, si sta rivelando una leva efficace e le aziende ne stanno riscoprendo il valore soprattutto per gli impiegati e per gli operai». Allora, se vogliamo stipendi più alti, non solo devono scendere le tasse, non solo le imprese devono pagare di più, ma i sindacati dovrebbero accettare l’idea che agli imprenditori vadano date le leve per motivare i dipendenti e aumentare la produttività. La palla passa nel campo dei sindacati.