Massimiliano Parente, Libero 22/3/2012, 22 marzo 2012
SE LE TETTE DELLA MINETTI OSCURANO LA LETTERATURA
Ha senso scrivere un capolavoro in Italia? No, anzitutto perché nelle terze pagine italiane i libri non si leggono, bisogna anticiparli. Una volta anticipati, i libri non si leggono, ormai si sono anticipati. Così almeno due settimane prima dell’uscita del mio nuovo romanzo ho rilasciato un’intervista a Panorama, ma erano molto interessati a dove, nel libro, parlo del Premio Strenna, una sorta di satira del Premio Strega che mi è servita da scenario narrativo né più né meno che il letto di Malone muore o l’albero di Aspettando Godot.
In realtà il mio ultimo romanzo L’inumano è un libro terribile che racconta la tragedia della coscienza umana dopo tre miliardi di anni di evoluzione biologica, dall’Era di Planck all’Homo Sapiens. Ma questo argomento non interessa Panorama, interessano invece le mie masturbazioni sulle tette di Nicole Minetti, che addirittura finiscono nel titolo. E va bene, ho pensato, è Panorama, e le tette della Minetti, pur occupando una pagina su trecento,sono comunque un bel panorama. Inoltre mi piaceva l’intervistatrice, e ho pensato non si sa mai.
Non fa in tempo a uscire Panorama che mi telefona uno di Tempi, il settimanale cattolico, io spero per annunciarmi di avermi messo all’indice, di aver fissato un rogo, di aver fissato una crocifissione. Macché, volevano fissare solo un’intervista. «Lo avete già letto?» domando con una certa sorpresa. «No, ma abbiamo letto la sua intervista a Panorama».
Insomma, si voleva riparlare di tette o del Premio Strenna, e rassegnato rilascio questa seconda intervista sull’intervista, ma nel giro delle restanti due settimane sono stato chiamato da altre radio e quotidiani che volevano anche loro un’intervista, avendo letto l’intervista di Tempi basata sull’intervista di Panorama, e nel frattempo le tette della Minetti sono diventate sempre più grandi.
Intanto è arrivata anche qualche recensione, che però ha bypassato completamente il romanzo e, tanto per cambiare, si è soffermata ancora sul Premio Strenna e sulle mie seghe sulle tette di Nicole Minetti.
Credo che neppure nelle intercettazioni del bunga bunga si sia mai parlato tanto delle tette della Minetti. Tanto per capirci: sono centinaia i saggi di biologia, paleontologia, astrofisica, genetica, fisica quantistica che ho dovuto studiare negli ultimi anni per scrivere L’inumano, per affilare le parole, per portare a termine il più violento attacco alla cultura umanistica mai prodotto all’interno di un’opera letteraria, il più violento attacco alla vita stessa. È un romanzo che chiude una trilogia di oltre mille e trecento pagine, e dieci anni di vita e di tormenti, e viene dopo quel Contronatura che Edmondo Berselli, su L’Espresso, non certo un mio amico, definì senza mezzi termini un Meisterwerk, dovendo ammettere, lui che i romanzi li leggeva davvero: «Siamo finalmente di fronte a un’opera d’arte fondamentale».
Mi dispiace che Berselli, purtroppo morto prima che io potessi conoscerlo personalmente, non possa vedere in quale territorio estremo dell’indicibile io mi sia spinto dopo quel romanzo.
Ma ancora più indicibile è ritrovarmi a leggere recensioni dove non si capisce neppure perché la mia opera si intitola L’inumano e non Io, il Premio Strega e le tette della Minetti, né cosa c’entri l’evoluzionismo. Per fortuna i lettori che hanno letto il romanzo mi scrivono lettere incredibili, ne ricevo ogni giorno di bellissime, entusiastiche o scandalizzate, ma sembrano reagire a un altro libro rispetto a quello di cui leggete sui giornali. Ne cito una a caso, appena ricevuta: «È un libro che non mi fa stare bene, leggo e non sto bene da nessuna parte, lo prendo, impaziente di continuare, con ansia, angoscia, le parole arrivano a sassate a farmi sapere quello che non voglio. Contronatura era un verificare continuamente e pornograficamente rivelazioni estetiche, ossessionanti, rileggevo e rileggo sistematicamente le lettere di Madame Medusa, cercando un appiglio, un inizio o una fine, pagine rosse amate, nelle mani come una pietra dura, luccicante, perfetta. L’inumano è altro, come tenere tra le mani un bisturi, così, semplicemente, liscio, affilato, nudo, è quello che tutti siamo, che abbiamo dentro e che non conosco e non voglio affatto conoscere, è una camera quadrata illuminata da neon con un numero sulla porta, grigio e bianco dappertutto e tutto accecante, mi trasmette malessere e una intensa voracità nel continuare all’infinito la lettura, vorrei sapere cosa ne pensate voi, se sentite quello che sento io, sono curiosa dei vostri pareri, non l’ho ancora finito». Non è un critico letterario, non è un giornalista, è una ragazza, si chiama Stefania Bergamini, abita a Bologna, e fa la cameriera in un pub al posto dei critici italiani.
È una situazione che denuncio da anni, perfino nei miei stessi romanzi. Se i critici e i giornalisti culturali italiani dovessero recensire Alla ricerca del tempo perduto parlerebbero della ricetta per cucinare la madeleine, e probabilmente l’autore sarebbe invitato a parlarne in televisione da Benedetta Parodi.
Ma il paragone è ancora troppo poco estremo per far capire a quale punto sia il pressappochismo di chi legge per professione, perché la distanza tra le tette della Minetti e l’esperienza biologica de L’inumano è molto più ampia di quella tra il biscotto proustiano e il tempo perduto: almeno tra la madeleine e il ricordo evocato c’era un nesso filosofico.
Qui è come se dovessero intervistare il pilota che ha sganciato la bomba atomica su Hiroshima e gli chiedessero se è a favore o contro il matrimonio omosessuale perché l’aereo si chiamava Enola Gay.
Massimiliano Parente