Gaia Piccardi, Corriere della Sera 22/03/2012, 22 marzo 2012
MUAMBA, IL MIRACOLO DEL CALCIATORE MORTO PER SETTANTOTTO MINUTI
«Ciao, Doc...» ha bisbigliato ieri dall’aldiquà il calciatore morto per settantotto minuti e risorto alla quindicesima scarica di defibrillatore, aggrappato all’esistenza come alla maglia del Bolton che sabato scorso, nel quarto di finale di Coppa d’Inghilterra contro il Tottenham a Londra, si era spaccato il cuore per onorare. Dove è andato in quei 78’, cosa ha visto e chi gli ha fatto questo meraviglioso traversone per la vita, Fabrice Muamba — centrocampista congolese cresciuto in Inghilterra, cinque gol nel curruculum, un arresto cardiaco a referto e 24 prodigiosi anni da compiere il prossimo 6 aprile —, se ne avrà voglia lo racconterà presto ai medici del London Chest Hospital, che per descrivere questa azione pericolosamente ai limiti del fuorigioco hanno una sola, bellissima e mai troppo inflazionata, parola: miracolo.
Muamba era stramazzato per terra, con la palla lontana, al 42’ del primo tempo. 48 minuti per cercare di rianimarlo in campo, negli spogliatoi, sull’ambulanza lanciata a sirene spiegate. Altri 30 minuti di tentativi in ospedale. «Stavano lavorando su di lui mentre il suo cuore non batteva e dai suoi polmoni non esalava alcun respiro. Più a lungo dura la fase di rianimazione e meno possibilità ci sono di salvare il paziente. Settantotto interminabili minuti durante i quali, tecnicamente, Fabrice era morto» ha raccontato con le lacrime agli occhi Jonathan Tobin, medico sociale del Bolton, il primo a prestare soccorso a Muamba sull’erba di White Hart Lane mentre i compagni di squadra, uno ad uno, scoppiavano in pianto. «Usare il termine miracolato? Direi proprio che non è esagerato...» conferma il dottor Andrew Deaner, cardiologo tifoso del Tottenham, che sabato era sugli spalti con panino e birretta prima di precipitarsi in campo da Muamba.
C’è un lieto fine, dietro la storia più straziante e dolce che il pianeta calcio abbia prodotto in quest’inverno di incidenti di percorso (Antonio Cassano del Milan operato al cuore, Eric Abidal del Barcellona in attesa di trapianto di fegato, il 27enne indiano Venkatesh stroncato ieri da un infarto durante un match del campionato regionale di Bangalore, India, Terzo mondo del pallone ma non per questo lutto di minore dignità), sostenuto dalla forza dei suoi 23 anni, seguendo nel buio con fiducia il lume brillante di un’anima per definizione immortale, Fabrice Muamba fa piccoli progressi tutti i giorni, riconosce i parenti, risponde alle domande più semplici (come ti chiami? «Fabrice»; come stai? «Ok»; sei un bravo calciatore? «Ci provo»), riceve gli abbracci degli amici, i baci della fidanzata Shauna, e accoglie con un sorriso i messaggi dei colleghi impegnati in tutti i campionati europei, che nel weekend gli hanno dedicato gol, striscioni e magliette votive. Ieri ha ricevuto Thierry Henry, volato da New York a Londra per una visita di pochi minuti, totem dell’Arsenal ed ex compagno: «Fabrice sta molto meglio. È incredibile, e semplicemente fantastico».
La causa dell’arresto cardiaco rimane sconosciuta. Il cuore matto di Muamba era stato monitorato lo scorso agosto e, di nuovo, recentemente. È presto per dire se potrà tornare a giocare a calcio, «ma la sua vita a questo punto non è più in pericolo» conferma il dottor Deaner.
Questa è la storia di Fabrice Muamba, il ragazzo che sabato indossò maglia, braghe e parastinchi per fare quattro passi in paradiso. E ritorno.
Gaia Piccardi