Philippe Daverio, Corriere della Sera 22/03/2012, 22 marzo 2012
LA «CONFUSIONE» DELLE ARTI? COLPA DI BERNINI - La linea di demarcazione fra architettura e pittura, fra architettura e decoro, fra decoro e pittura è stata a lungo ben marcata
LA «CONFUSIONE» DELLE ARTI? COLPA DI BERNINI - La linea di demarcazione fra architettura e pittura, fra architettura e decoro, fra decoro e pittura è stata a lungo ben marcata. Basti pensare a quanto il Giotto (anziano) architetto del campanile fiorentino è lontano dal Giotto (giovane) delle architetture dipinte negli affreschi d’Assisi. Oppure analizzare la qualità formale perfetta dei disegni di Michelangelo legati ai progetti scultorei o all’ambito del disegno puro, caricature comprese, paragonandoli ai disegni d’architettura che sembrano talora addirittura stentati, tanto servono solo a esprimere l’idea, fulcro della creazione neoplatonica. Questa linea invece si scioglie come corollario della Controriforma tridentina, la quale, nel tentativo d’una rifondazione della base sociale cristiana, dà al popolo lavoratore un peso equivalente a quello che prima era attribuito a intellettuali e artisti: l’intagliatore di legni per confessionali, il marmista dei decori d’altare, il cesellatore d’ostensori hanno da quel momento in poi la stessa dignità del pittore o dello scultore. Gian Lorenzo Bernini è figlio prediletto di questa mutazione. Per lui la cornice è figlia del progetto architettonico maggiore, il dipinto convive con la grande scultura e tutto si fonde nel trionfo teatrale dell’Estasi di Santa Teresa. Gian Lorenzo Bernini è padre quindi della mutazione barocca che sboccia nel Gesamtkunstwerk, l’opera d’arte totale, che tanto piacerà a Riccardo Wagner, il quale porterà in scena la coesistenza di parola, ritmo, musica e decoro. Ma a Wagner solo l’onore della definizione teorica, perché i contemporanei di Bernini, da Monteverdi in poi, avevano già capito che la pluralità di Opus non poteva che essere Opera. Il melodramma era barocco senza saperlo e Gesamtkunstwerk senza essere cosciente che stava inventando le basi del design. Per il mondo cattolico asburgico, decadente e fortunatamente non ancora antisemita, era quindi naturale accettare lo scioglimento della linea fra i vari livelli di coscienza, proprio come stava contemporaneamente facendo col lettino Sigmund Freud, e lasciare dialogare Klimt il pittore con Olbrich l’architetto, Kolo Moser l’argentiere con Powolny il ceramista, Kitty Rix la costumista con Dagobert Peche e Josef Hoffmann gli arredatori. La confusione delle lingue e il convivere delle pratiche è quindi essenzialmente prassi italica emigrata fra chi ci gradiva. Il che getta una luce ben più divertente sul lavoro di Piranesi che passa dalla documentazione delle antichità all’invenzione di caminetti e caffettiere (ottima la mostra appena conclusa alla Fondazione Cini), lasciando in Roma una tale influenza che Marcantonio IV Borghese deciderà di ridecorare integralmente la sua Villa compresa di collezione (mostra da vedere in questi giorni, con il ritorno temporaneo della collezione archeologica dal Louvre) affidandone il concetto di Gesamtkunstwerk agli Asprucci padre e figlio. E la questione diventa intrigante nei giorni recenti, da quando l’architettura è stata troppo spesso eliminata per via di troppa edificazione senza progetto: Aldo Rossi ha costruito di più coi disegni che con il calcestruzzo e i suoi parenti estetici Massimo Scolari e Arduino Cantàfora hanno destinato la loro passione architettonica alla forza del pennello, in modo non dissimile da quello che l’altro grande sognatore, Claude-Nicolas Ledoux, l’esperto degli edifici tondi in epoca Révolution, affidava ai suoi disegni. Philippe Daverio