Daniele Lepido, Marco Mele, Il Sole 24 Ore 22/3/2012, 22 marzo 2012
CARO MONTALBANO, QUANTO MI COSTI
In Italia la "fabbrica" dei contenuti televisivi è un mercato nel quale Sky, Mediaset e Rai investono ogni anno quasi quattro miliardi di euro con i diritti del calcio che occupano, soprattutto per le piattaforme pay, una fetta consistente della spesa complessiva. Per i diritti del pallone, infatti, per Murdoch l’esborso medio annuo è di 560 milioni mentre per il Biscione di 270 milioni sul totale di 1,2 miliardi che ciascuna emittente paga per realizzare mini-serie come Faccia d’Angelo o film tv come Un Natale per due (Sky), spettacoli del calibro di Zelig o ancora fiction come Il tredicesimo Apostolo (Mediaset). Senza dimenticare, parlando della Rai, il Festival di Sanremo ma anche brand come Don Matteo e il Commissario Montalbano anche se viale Mazzini mette sul piatto ogni anno quasi 200 milioni per i diritti sportivi.
Ma quanto costano le serie di prima serata? Dipende ovviamente dal numero di puntate (più sono e meglio si ammortizzano le spese) ma in prime time si parla di un range di prezzo che va da uno a due milioni di euro a serata. Detto in altre parole, 650-700mila euro ogni 50 minuti di produzione.
Nella "costruzione" di contenuti di qualità Sky sta puntando molto, come ricorda Andrea Scrosati, vice presidente esecutivo di Sky Italia che da venerdì scorso ha ampliato le sue responsabilità ai canali terzi, alla pay per view e al 3D, oltre alla gestione dei canali cinema, intrattenimento e Cielo: «In un contesto di sovrabbondanza di contenuti tv la qualità farà sempre di più la differenza – racconta Scrosati – e non parlo solo del valore di un soggetto o di una sceneggiatura ma anche della loro fruizione in alta definizione fino alla possibilità di liberarsi dal vecchio concetto di palinsesto passando alla logica del multipiattaforma che permette di guardare i nostri contenuti anche on demand sulla televisione, su Pc e sull’iPad».
Eppure in tempi di crisi l’attenzione al portafoglio non può mancare: «È interessante rilevare – continua Scrosati – che produrre intrattenimento di alto livello non significa spendere per forza molto di più perché parliamo di prodotti con un ciclo di vita più ampio che seguono, per esempio, il modello vincente della coproduzione come nei casi di Faccia d’angelo, la miniserie sulla mala del Brenta coprodotta con Goodtime, oppure di Romanzo Criminale, realizzato con Cattleya».
Solo l’anno scorso Sky Italia ha investito nel nostro Paese 1,119 miliardi di euro tra diritti e contenuti e impiega in totale oltre 15mila persone. Il suo quartier generale è a Milano e «soprattutto paghiamo le tasse in Italia». C’è invece chi, come Google, fa notare Scrosati, ha un altro modello di business, di certo assolutamente legittimo ma con una sede centrale in un altro Paese. «Con tutte le conseguenze del caso».
E così Google è considerato da molti editori il nemico numero uno: «Avere un prodotto televisivo italiano di qualità è la prima barriera contro quelli che io chiamo meta-editori, cioè gli editori di editori – spiega Marco Paolini, direttore del marketing strategico di Rti (Mediaset) – e non mi riferisco al piccolo blogger ma ad aziende del calibro di Google-Youtube che vendono pubblicità su contenuti realizzati da altri, di cui non detengono i diritti. Il fatto che questi contenuti siano caricati dagli utenti non può essere una scusa. Tanto è vero che i filmati per adulti vengono bloccati».
Ecco perché «la sfida per chi produce i contenuti è anche l’ottimizzazione dei costi in un momento in cui i prodotti acquistati dalle major arrivano sulle piattaforme free, a parità di botteghino, molto più "usurati" e rendono fino al 30% in meno in termini di ascolti perché sono già stati visti in home video, sulla pay tv o ovviamente al cinema», conclude Paolini.
La Rai dal canto suo ha, rispetto a Mediaset e Sky, un numero di dipendenti molto elevato: quasi 12mila. Quando, per esempio, si dice che Rai2 ha un budget annuo di 63 milioni, ci si riferisce solo ai suoi costi "sopra la linea" (conduttori, autori, scenografi). Poi ci sono altri 150 milioni di costi del personale Rai che lavorano alla realizzazione dei programmi e del palinsesto di Rai2. Ai costi della fiction, ad esempio, andrebbero aggiunti almeno quelli dei 45 dipendenti di RaiFiction e così via. Tra produzioni, acquisti e diritti, la Rai investe circa un miliardo e 700 milioni di euro l’anno. Esclusi i grandi eventi (che richiedono un investimento aggiuntivo tra i 120 e i 150 milioni), la Rai spende ogni anno 180-200 milioni per l’acquisto di diritti sportivi. Altri 230-240 milioni sono spesi per la fiction prodotta e altri 240 tra produzione di film e acquisto di diritti fiction e film. Le news costano circa cento milioni di euro annui. Una voce particolarmente elevata è quella dei programmi "a utilità immediata" (talk show, giochi, quiz, varietà) per cui il servizio pubblico spende 350-360 milioni annui. Tali costi non comprendono il costo dei 4mila addetti alla produzione: si tratta di altri 350-400 milioni. Non tutti, però, risultano dal bilancio contabile: le fiction hanno ammortamenti pluriennali. Chi appalta all’esterno può calcolare interamente i costi nell’investimento sui contenuti, sottolineano i dirigenti del servizio pubblico mentre ai dati relativi alla Rai vanno aggiunti i costi del personale, almeno di quello addetto ai programmi o ai palinsesti.
Intanto, tornando alla "guerra" con gli operatori internet, Google risponde alle accuse per voce di Christophe Muller, director Youtube partnership: «Abbiamo realizzato uno strumento gratuito per la protezione del copyright che si chiama Content Id – sostiene Muller – che consente di controllare e monetizzare i contenuti distribuiti su Youtube. Nel mondo oltre 3mila partner lo utilizzano e tra questi i network americani e la maggior parte di quelli italiani, come Rai, Fox Channels Italy e La7».