Camillo Langone, Libero 22/3/2012, 22 marzo 2012
GUERRA, GRANDE CUORE ALL’OMBRA DI UNO SPOT
Tonino Guerra è morto ieri mattina nella sua Santarcangelo. Sabato scorso, lucidissimo fino alla fine, aveva festeggiato i 92 anni con la moglie Lora e il figlio compositore Andrea, ascoltando dalla sua camera da letto i bambini che cantavano «Romagna mia» in piazza. I funerali saranno celebrati il 25 mattina.
Forse non è morto un gigante, ma di sicuro non è morto un nano. Ridurre Tonino Guerra alla dimensione di una macchietta pubblicitaria è un insulto alla poesia e alla Romagna. A parte che nei vecchi spot Unieuro, per i quali il poeta baffuto divenne noto al grande pubblico, non c’era nulla di cui vergognarsi: pubblicizzavano lavatrici, frigoriferi e cucine, non mine antiuomo. Sembra impossibile, ma l’Italia è ancora ingombra di platonici e di crociani che vorrebbero proibire alla letteratura di mescolarsi alla vita quotidiana, un atteggiamento polveroso che certo non contribuisce a restringere il fossato fra la poesia e i potenziali lettori.
Coloro che ritengono intollerabile la prossimità fra un endecasillabo e un elettrodomestico dovrebbero andare a lezione non tanto dai futuristi quanto dal Cavalier Marino: «È del poeta il fin la meraviglia». A meravigliare, spiazzando, Tonino Guerra ci ha sempre provato, e spesso ci è riuscito. Soprattutto col cinema, per il quale ha firmato oltre cento sceneggiature, un’enormità.
La più famosa è quella di Amarcord, formidabile neologismo divenuto un modo di dire e poi un’insegna per innumerevoli ristoranti, alberghi, caffè, senza contare i vini, le birre, le osterie, le piadinerie. Con questo nome esiste perfino un carattere tipografico e una catena newyorchese di abbigliamento vintage. Chi l’ha coniato, lo sceneggiatore o il regista? Lo stesso Guerra, in un’intervista, divise il merito con Fellini: «Siamo stati due giorni io e Federico per capire che titolo poteva avere il film. Poi ci siamo ricordati che quando avevamo 17 anni entravamo in un bar. Arrivava sempre un signore ricco e ben vestito che chiedeva a voce alta un Amaro Cora. Così ci è venuto in mente Amarcord». Quindi due genitori, anzi due maghi, al posto di uno: capaci di ricavare un Oscar mescolando il nome di un liquore retrò con l’espressione romagnola che significa «Io mi ricordo».
Negli altri cinematografici casi è ancora più difficile capire dove finisca Guerra e dove comincino di volta in volta Antonioni, De Sica, Petri, Monicelli, Tarkovskij... Ricordo un film lento e noioso, forse il film più lento e più noioso della mia vita, che andai a vedere attirato dal protagonista Harvey Keitel: era Lo sguardo di Ulisse del greco Angelopoulos, scritto con Guerra, a cui però non mi sento di addebitare particolari colpe perché se il regista è un bradipo lo sceneggiatore non può mica farlo diventare una gazzella.
Soprattutto col cinema, ho detto, perché il grande schermo ha (o forse dovrei dire: aveva) un grande pubblico. Ma non bisogna dimenticare la poesia, il primo amore. Il bardo di Romagna ha cominciato a scrivere nell’idioma natìo in un campo di concentramento tedesco, ha continuato a farlo dopo la guerra, in un periodo in cui non era affatto di moda, e non ha smesso mai, anche quando è diventato chiaro a tutti che il caso era disperato, che per il dialetto non c’era più molto da fare. Ciò nonostante la sua non era una poesia rassegnata. Anziché scrivere poesiole bucoliche e nostalgiche come la maggioranza degli autori vernacolari, lui componeva versi molto forti, quasi hard: «Da la figa l’è avnù fura énca la figa / Os-cia la figa!». Mi astengo dalla traduzione sicuro che perfino i non romagnoli avranno intuito l’argomento.
Era un signore a cui la vita piaceva molto e questo risulta chiaro dall’opera e dalla biografia, dalla bella moglie russa, dalle foto dove sorride o ride quasi sempre e quasi sempre con in mano una sigaretta che evidentemente non gli ha impedito di compiere 92 anni. Non era un solitario, intorno a sé ha sempre avuto un mondo, a cominciare dalla sua Santarcangelo dov’è stato profeta in patria, una fortuna concessa a pochi. In uno storico palazzotto del centro esiste un locale memorabile, La Sangiovesa, dove si gustano cassoni e passatelli circondati dalle visioni dell’illustre concittadino a cui piaceva dipingere (non ignobilmente) e inoltre commissionare oggetti fantastici ad abili artigiani della zona. Anche grazie a questo suo figlio dall’ingegno molteplice, Santarcangelo è divenuta una sorta di capitalina morale della Romagna, una località imprescindibile nella geografia della migliore provincia italiana.
Trovo bellissimo che, sentendo la morte avvicinarsi, abbia deciso di tornare nel paese natale dopo un paio di decenni trascorsi nell’Alta Valmarecchia, Romagna di montagna. Trovo bellissimo che anche nell’estrema vecchiaia abbia continuato a raccontare, a scrivere, a immaginarsi luoghi poetici quali l’Orto dei frutti dimenticati, il Giardino pietrificato, il Rifugio delle Madonne abbandonate, poi miracolosamente realizzati sulle non lontane alture di Pennabilli.
Trovo bellissimo che non si sia mai sognato di maledire il presente come fanno di solito i vecchi poeti (e spesso anche i giovani, a dirla tutta). «L’ottimismo è il profumo della vita» non era soltanto uno slogan pubblicitario, era un programma artistico ed esistenziale. Forse non era il più grande, Tonino Guerra, ma di sicuro era il più positivo: avercene.
Camillo Langone