Il fatto del giorno
di Giorgio Dell'Arti
Un modo per abbattere il nostro debito pubblico (più o meno 2300 miliardi di euro) sarebbe quello di vendere i gioielli di famiglia, destinare l’incasso a restituire i soldi, pagare meno interessi e quindi avere spazio per far ripartire l’economia.
• Non la prenda così alla larga. Abbiamo sentito tutti in tv che vogliono vendere le Poste.
Il 30-40 per cento delle Poste (per ora). E un altro 30-40% dell’Enav, l’ Ente Nazionale per l’Assistenza al Volo trasformato nel 2000 dal Tesoro in una società per azioni. Il decreto relativo è stato varato ieri. Ci si immagina di ricavare da queste dismissioni 6-8 miliardi. Che andrebbero tutti a intaccare, di un piccolissimo frammento, la montagna del debito. C’è poi l’altro discorso secondo il quale facendo entrare il privato in società al cento per cento pubbliche si dovrebbe avere un guadagno d’efficienza, tesi avversata da tanti pensatori di sinistra, primo dei quali Stefano Rodotà, che portano in genere come esempio il disastro della privatizzazione Telecom. Del resto si mette sul mercato il 40% di Poste e non il 51% per la resistenza dei sindacati, che hanno il terrore del privato, basta l’esistenza di questo sentimento per capire che l’azienda non dà tutti i profitti che potrebbe. Il governo comunque ha fatto capire che questo 40% è solo una prima tranche, a cui seguirà la messa sul mercato di altri pezzi d’azienda.
• La privatizzazione Telecom fa testo?
Secondo me non troppo, perché lì un Palazzo Chigi gestione D’Alema e trasformato in banca d’affari, permise un’operazione tutta a debito a un gruppo di bravi pirati. Quell’enorme peso fu poi caricato sulle spalle dell’azienda che non se n’è mai liberata del tutto (chiedere a Tronchetti Provera) e ne porta il peso ancora oggi. Poste è una società con 140 mila dipendenti, conti abbastanza a posto, rischia adesso di essere appesantita da un pezzo d’Alitalia, ma insomma gli acquirenti ci saranno. Teniamo conto che il profitto maggiore dell’azienda non proviene dall’attività tradizionale - lettere, francobolli e cartoline - ma dalla gestione finanziaria: in pratica Poste spa è una banca.
• Possiamo ragionevolmente sperare che il governo proceda nella privatizzazione nel modo giusto.
Abbiamo due esempi-faro che dovrebbero illuminarci la strada. Uno è la privatizzazione del Monopolio Tabacchi, un’operazione perfetta portata al traguardo da Giulio Tremonti: messa l’azienda sul mercato, si fece una gara come Dio comanda e si spuntò un prezzo stupefacente, 15 volte i guadagni dell’anno prima, 2002. Si era semplicemente applicata la regola di vendere al miglior offerente, senza trucchi e facendo in modo che tutti i concorrenti offrissero il massimo. L’altro esempio-faro è quello della privatizzazione di Alitalia. Partimmo con una frase di Epifani, a quel tempo segretario della Cgil, secondo il quale «chi compra Alitalia, non deve farlo per soldi», concetto completato dall’altra sentenza memorabile «non si possono fare le trattative con la calcolatrice». Senza ripercorrere quel calvario - non ancora finito - basterà ricordare che in quel caso il governo, assediato dai sindacati (e specialmente da Bonanni), voleva scegliersi il compratore. Guardando i due esempi, sembra chiaro quello che si deve fare.
• Vendere gli immobili?
Non sembra il momento giusto. Blackrock ha ricominciato a comprare, ma in Spagna dove i prezzi delle tante case vuote sono al lumicino. Invece aziende come Poste e Enav dovrebbero essere interessanti per gli investitori. Almeno così si dice da Davos, dove sono radunati i potenti della terra. Gli inviati in quella lontana città svizzera garantiscono che gli gnomi del mondo sono interessati all’Italia. Non so se sia davvero una notizia rassicurante.
• Che altro si potrebbe vendere?
Poste e Enav sono pubbliche al cento per cento. In Eni, il Tesoro ha il 4,34 e la Cassa Depositi e Prestiti (del Tesoro all’80,1%) un altro 25,76. In STM (semiconduttori) lo Stato è presente attraverso AtMicroelectronics. Poi c’è Sace - una società di assicurazioni che aiuta le aziende ad investire all’estero - posseduta al 100 per cento dalla Cassa Depositi e Prestiti, La Fincantieri, in pratica tutta di Cassa Depositi, poi Snam che è dello Stato attraverso un giro complicato che passa per Cdp Reti, Tag, all’89% di Cassa Depositi, tutto il comparto Ferrovie dello Stato comprese, per il 60%, le Grandi Stazioni. In questo Monòpoli se si vendesse tutto il vendibile - a parte gli immobili - si potrebbero tirar su un centinaio di miliardi. Non è, come si vede, la soluzione definitiva alla questione del debito.
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