Alessio Schiesari, Il Fatto Quotidiano 25/1/2014, 25 gennaio 2014
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Anche quando si aprono le porte del carcere, spesso l’incubo continua. Angelo Falcone, un 27enne di Piacenza, nel 2007 decide di fare il primo viaggio importante della propria vita: India, insieme all’amico Simone Nobili. Qui viene arrestato: secondo l’accusa, sarebbe stato fermato con 18 chili di hashish nei pressi di Nuova Delhi. Il viaggio si trasforma in un incubo: botte da orbi in commissariato e condizioni disumane. In primo grado Angelo e Simone vengono condannati a 12 anni di carcere. Ne scontano tre, fino a che la corte di appello li assolve con formula piena. Dell’hashish non c’è traccia e la notte dell’arresto Angelo e Simone si trovavano a 650 chilometri da Nuova Delhi. Concluso il processo Angelo vorrebbe tornare subito in Italia, ma l’India lo fa aspettare 5 mesi prima di restituirgli il passaporto. L’ambasciata italiana gli rilascia un documento provvisorio che non viene accettato da nessun hotel. Dorme un mese a casa di una giornalista. Sull’isola di Goa è costretto a passare le notti in stazione, come un barbone. Quando finalmente rientra in Italia, la prima urgenza è andare in ospedale. Durante la detenzione gli sono stati fratturati entrambi i menischi e un polso. Deve operarsi, restare a letto. Oggi, a distanza di tre anni, dovrebbe fare delle sedute di fisioterapia che non può permettersi. Da tre anni tenta invano di ottenere un risarcimento. La sua è una storia limite, ma non è un caso che sia avvenuta in India. Si parla spesso di marò, ma da tre anni Tommaso Bruno ed Elisabetta Boncompagni si trovano in carcere, entrambi condannati all’ergastolo per omicidio. Sono in attesa del processo di appello, ma da cinque mesi il procuratore diserta l’aula e la nuova udienza non si può celebrare. Ambasciate e consolati fanno quello che possono. Spesso però non è abbastanza. Sono loro a effettuare visite nelle carceri per verificare se le condizioni detentive sono idonee. “Gli standard sono quelli del Paese ospitante, non quelli italiani. Noi ci limitiamo a verificare che non vengano discriminati rispetto ai detenuti del posto”, spiega Iacopo Foti, funzionario dell’Ufficio italiani all’estero del ministero degli Esteri. Le ambasciate mettono a disposizione di chi ne faccia richiesta delle liste di legali autorizzati a operare in quel Paese. La parcella però è a carico della famiglia. Se l’imputato non può permettersi di pagarla, al massimo viene erogato un contributo che però raramente è sufficiente. Questo peraltro è un “privilegio” concesso solo agli italiani iscritti ai registri Aire. A tutti gli altri, turisti e irregolari, al massimo viene erogato un prestito. “Questo è uno dei problemi più gravi: in molti Paesi un italiano in carcere viene visto come una fonte di enormi guadagni dagli avvocati del luogo. Le famiglie si indebitano fino al collo per affrontare i processi”, spiega Katia Anedda dell’associazione Prigionieri del silenzio che si occupa di italiani detenuti fuori confine. In caso di guerra o emergenza umanitaria non esiste un protocollo da seguire: nella migliore delle ipotesi, si lavora a livello informale. Gli ultimi dati della Farnesina, aggiornati a fine 2012, raccontano di un italiano in attesa di giudizio in Siria, ma non è chiaro se si trovi ancora in carcere.
A volte i consolati si ritrovano anche a dovere assolvere a compiti che esulano dalle loro competenze. Ad esempio nel caso di Daniele Franceschi, arrestato a Grasse (nel sud della Francia) per avere tentato di clonare una carta di credito. Sei mesi dopo muore in cella in circostanze misteriose. Quando - con quattro giorni di ritardo - le autorità francesi comunicano alla famiglia la morte del ragazzo, la Farnesina invia subito un medico legale italiano per assistere all’autopsia. L’obitorio di Nizza però gli nega l’accesso. Del referto si occupano i medici francesi: infarto del miocardio. Da allora, il console aiuta la famiglia nel processo, che è ancora in corso. L’esperienza acquisita potrebbe servirgli ancora: a maggio di quest’anno nello stesso carcere viene ritrovato il corpo senza vita di un altro italiano appena 29enne, Claudio Faraldi.